Il calo costante degli aborti che leggiamo ogni anno nella Relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 194, che ne ha introdotto l’esecuzione legale in Italia, non consola: nel 2009 quasi 117mila bambini sono stati soppressi prima di nascere, e l’osservazione – corretta e legittima – che si tratta dei valori più bassi fra i Paesi occidentali non tranquillizza, ma piuttosto dà l’idea della tragica enormità del fenomeno nel nostro continente.Perché si abortisce? Perché una gravidanza può sembrare un problema insormontabile, risolvibile solo eliminando la vita che si ha in grembo, la vita che la propria moglie o compagna già custodisce (perché non va mai dimenticato che i genitori sono sempre due)? Per tanti, tantissimi motivi, più o meno ricorrenti, ripetutamente indagati, ma difficilmente rimossi.Difficoltà socio-economiche, sicuramente, sono alla base di molti aborti, ma è bene non illudersi: se le cause fossero solo queste, allora la scelta di abortire dovrebbe riguardare le donne sole o le coppie molto povere, mentre i nuovi dati della Relazione ci dicono che la metà degli interventi abortivi è di donne che lavorano, sia italiane che straniere, e coniugate. E allo stesso tempo, la grande diffusione dell’aborto nei ricchi Paesi occidentali è di per sé una smentita alla motivazione socio-economica: i Paesi scandinavi – ma anche la Francia – sono noti per le politiche di welfare e di attenzione alla natalità, ma i loro tassi di abortività restano molto più elevati di quelli italiani, con incrementi paurosi fra le minorenni.Bisogna allora riflettere su quanto ci dicono, ad esempio, gli operatori dei Centri di aiuto alla vita: le donne, che molto spesso vanno da sole al colloquio, quasi mai decidono di proseguire la gravidanza perché risolvono di colpo i loro problemi semplicemente raccontandoli ai volontari. Se la difficoltà è nei rapporti con le persone con cui si vive – il marito, il convivente, o la famiglia di provenienza – l’ostacolo non si supera improvvisamente parlandone con altri; e anche gli aiuti economici, quando sono richiesti e si possono offrire, sono spesso limitati a cifre esigue. In altre parole, è difficile accogliere la vita se non ci si sente accolti: il colloquio con i volontari spesso significa per tante donne il primo momento di condivisione dei propri problemi, in cui si viene ascoltati e si esce da una solitudine che sembrava non lasciare altre vie d’uscita. E il fatto stesso di trovare persone disponibili ad ascoltare, o un limitato sostegno economico, sono i segni tangibili di questa condivisione: spesso il gesto che nel fondo del cuore si aspetta per poter dire sì a quella nuova vita.L’anomalia tutta italiana nel panorama occidentale del ridotto tasso di aborti anche fra le minorenni, insieme al limitato ricorso alla contraccezione chimica, già poggia su una generale cultura dell’accoglienza e della solidarietà, che è evidente soprattutto nella sostanziale tenuta dei rapporti familiari nel nostro Paese, come anche nella diffusione capillare del volontariato pro-life. Una cultura che nel profondo è ancora imbevuta di cristianesimo, anche in chi ne è meno consapevole: è bene riconoscerlo, e custodire e proteggere questa nostra radice preziosa.