«La coscienza dell’Europa è nata in pellegrinaggio», scriveva Goethe. Il tentativo di riappropriarsi di questa coscienza – che ha fatto anche l’Italia ben prima del Risorgimento – è alla radice della nascita di
Luoghi dell’Infinito, un’avventura che dura da quindici anni e ha raggiunto i 150 numeri. L’occasione è il grande Giubileo del Duemila e la richiesta da parte dell’allora presidente della Cei cardinale Camillo Ruini all’ex direttore Dino Boffo di ideare un mensile che accompagnasse i lettori di
Avvenire dall’ottobre del 1997 all’Anno Santo e oltre. Il Giubileo diventa anche la grande occasione di scoperta (o riscoperta) dei tesori d’arte, che la fede dei popoli ha generato nei due millenni di cristianesimo e che segna il nostro Paese come un percorso di messaggi e segni in una sacralizzazione dello spazio che non conosce pari nel resto del mondo. Nelle "pietre della memoria" che sono le cattedrali, le abbazie, i santuari e nelle opere d’arte che hanno dato colore e immagine alla storia della salvezza, l’uomo contemporaneo trova modo e spazio per portare uno sguardo nuovo sulla vita e sul mondo. Scrive il cardinale Gianfranco Ravasi nell’editoriale del centocinquantesimo: «Come può avere un "luogo" – termine che presuppone uno spazio limitato, una sede circoscritta, un perimetro definito – ciò che è "infinito" come appunto lo è lo spirito, l’arte, la bellezza? Sappiamo che questa antinomia è alla base dell’idea stessa di tempio, come già dichiarava Salomone nella sua preghiera di consacrazione del santuario di Sion: "Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!" (1Re 8, 27). La soluzione era stata trovata nella denominazione della tenda sacra dell’alleanza: ’ohel mo’ed, tenda dell’incontro. Il Dio trascendente e infinito, che tutto abbraccia, incontra l’uomo e la donna, che sono finiti e legati allo spazio, in un "luogo" prescelto, quasi in una sorta di appuntamento a cui si adatta per attuare l’incontro».La rivista è un invito a cogliere la Presenza, che si manifesta nella bellezza, come sorgente di senso per la quotidianità e le vicende degli uomini. Perché la bellezza non è una sosta, un’oasi, ma è il nostro destino ultimo che ci affascina, l’attrazione che ci muove a scegliere il bene rispetto al male, la vita rispetto alla morte. La bellezza ci chiama alla nostra vocazione più autentica che è quella di figli di Dio. Una lunga storia che parte da Abramo e passa per Icaro, Ulisse, Dante della Commedia: la ricerca del "volto di Dio" si fa concreto movimento, perché come i magi non possiamo accontentarci di scoprire il segno prodigioso della cometa e fermarci a inerti spettatori, ma vogliamo essere partecipi e diventare testimoni. «I luoghi dell’infinito – scrive il direttore Marco Tarquinio sul numero 150 – sono un capovolgimento: non sei tu a nascerci o ad arrivarci, ma sono loro a raggiungerti, a nascerti dentro. Non saprò mai del tutto come ciò possa accadere, come sia che quella che credevo una destinazione e a volte una fatica mi baleni dentro come un destino, come una pienezza riservatami in modo gratuito. E tuttavia, quando succede, me ne rendo subito e felicemente conto. Sono lì. E quei luoghi, che non sono solo miei e mai lo saranno, sono interamente per me, dicono anche di me e mi comprendono». In fondo è questo che la rivista cerca: la felicità di scoprire l’Infinito che ci ha generati e continua a generare la terra, i cieli, noi stessi, con la stessa semplicità e straordinarietà di un sole che sorge.