A rileggerle oggi quelle parole suonano profetiche. «Il microcredito è una grande idea con un problema: la banca che lo ha reso famoso». La frase apriva un pezzo di Daniel Pearle, sul
Wall Street Journal del 27 novembre 2001, nel quale il giornalista riconosceva sul quotidiano-Bibbia della grande finanza, la popolarità straordinaria dell’istituto del microcredito (e, di riflesso, della sua banca-simbolo, la Grameen Bank). Allo stesso tempo, però, criticava l’operato della persona che l’ha reso famoso agli occhi del mondo: Muhammad Yunus, per tutti «il banchiere dei poveri».A dieci anni di distanza, la scena sembra ripetersi. È di ieri la notizia che il governo del Bangladesh – che detiene un quarto del capitale della Grameen Bank – ha chiesto a Yunus, oggi settantenne, di lasciare la guida dalla banca per aver superato il limite di età previsto per i banchieri (65 anni). Ma che si tratti di una formalità elevata a grimaldello per togliere dalla scena Yunus lo fanno pensare le ombre via via addensatesi su di lui, vincitore nel 2006 del Nobel per la pace «per gli sforzi diretti alla promozione dello sviluppo economico e sociale dal basso». Non più tardi di poche settimane fa, Yunus è stato accusato di sospette irregolarità finanziarie nella gestione della banca di cui è fondatore e direttore dal lontano 1983: avrebbe dirottato su un’altra società (estranea al microcredito) la bellezza di circa 75 milioni di euro destinati alla Grameen Bank. Il governo di Dhaka ha dato mandato a una commissione di esperti di verificare le accuse; il verdetto è atteso per marzo. Fino al giudizio dei tribunali, va da sé che è prematuro condannare chicchessia, tanto meno una persona che ha indubbiamente contribuito a migliorare la sorte di milioni di vulnerabili, esclusi dai normali circuiti del credito. Se da qualche anno in qua si è cominciato a parlare persino di «credito come diritto umano», il merito è di Yunus e della sua straordinaria organizzazione.Da parte sua, «il banchiere dei poveri» ha replicato ai sospetti in circolazione che di dimissioni non vuol sentir parlare. «Senza di me la Grameen Bank sarebbe destinata a fallire», ha dichiarato, con la medesima spavalderia con cui una volta ebbe a dire: «In Bangladesh, dove non funziona nulla, il microcredito funziona come un orologio svizzero».Ora, da anni alcune persone che si occupano di finanza a misura di povero contestano a Yunus i metodi discutibili adottati dalla Grameen Bank per costringere i clienti a onorare gli impegni finanziari presi. Dietro i risultati stupefacenti (tassi di restituzione superiori al 95%), vi sarebbero pressioni e vessazioni sui poveri e le loro famiglie, nonché statistiche "addomesticate". Tra i critici di lunga data delle politiche della Grameen Bank c’è un missionario del Pime, padre Giulio Berutti. In Bangladesh ha lanciato il microcredito decenni prima di Yunus, attraverso la Credit Union legata alla Chiesa cattolica locale.Proprio l’opera e i risultati ottenuti da padre Berutti e da tanti altri (singoli e Ong) che, anche sulla scia di Yunus, si sono impegnati in quest’ambito, confermano che l’intuizione del microcredito rimane validissima e attuale quali che siano i destini giudiziari del suo
testimonial d’eccezione. Perciò suonano a dir poco ingenerose le affermazioni di taluni esperti, secondo i quali «dopo 35 anni di microcredito non c’è alcuna prova che esso abbia sollevato milioni di persone dalla povertà». Buttare via il bambino con l’acqua sporca non è mai stato un gesto di carità né di intelligenza.