Gioia e dolore si mescolano, ogni giorno, nella vita degli uomini e delle donne e la segnano con le loro lame affilate. Negli ultimi due giorni, dolore e gioia ci hanno investito con vertiginosa intensità, segnando nel profondo ognuno di noi e l’intera redazione di Avvenire. Ci hanno severamente chiesto conto della nostra speranza. E lo hanno fatto qui, ora, con la franchezza imprevista e brutale della cronaca, che è nostro mestiere ed è sempre (e mai dobbiamo dimenticarlo) vicenda e sentimenti e attese d’altri. Gioia e dolore, per noi di Avvenire, sulla verticale che congiunge Milano e Roma a Tripoli, si sono racchiusi soprattutto in due nomi: Claudio Monici e Domenico Montalto.Claudio Monici, il nostro collega malmenato e preso in ostaggio in Libia, ci è stato restituito ieri assieme a Domenico Quirico (La Stampa) e a Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina (Corriere della Sera). Rilasciati e illesi tutti e quattro, grazie a Dio, all’ottimo lavoro di generosi e abili servitori dello Stato italiano e alle calcolate consapevolezze (o forse potremmo azzardarci a dire "coscienze") dei loro carcerieri. Felicemente liberi loro e liberati dall’ansia noi, anche se resta bruciante la ferita inferta dalla feroce uccisione di al-Maadi: padre di famiglia libico, guida e autista. Questa è la guerra: tormento e strazio, sangue versato, interrogativi lancinanti, perdita. Non consente mai, la guerra, di liberare sorrisi pieni; e solo quando ha vera fine offre sollievo vero. Chi la racconta – come fa Claudio, da anni e con immutata passione umana e cristiana – ce lo ricorda ogni volta che scrive. Chi l’ha sperimentata, o accetta di farsela raccontare su una pagina di giornale, sappia che bisogna ripetercelo ancora e ancora, fino a che non ne saremo tutti persuasi.Domenico Montalto, il nostro collega esperto d’arte e consegnato per matura vocazione a vigilare sull’ultima edizione di Avvenire, è stato tolto ieri a noi e ai suoi cari. Poche ore prima che Claudio ci fosse restituito libero, in fondo a un’altra notte di lavoro, più tesa e intensa di altre. Domenico ha seguito la bellezza e la verità, ha riconosciuto i segni della gioia e quelli del dolore, per tutta la vita, con lucidità di intellettuale e onestà di cronista. Ne avevamo parlato appena due sere fa, ancora una volta. Che lo vogliamo o no, siamo tutti un segno di gioia e di dolore nelle vite di chi ci ama e di chi ci incrocia. Ma noi giornalisti possiamo essere occhi e parola e cicatrice in prestito per chi non conosciamo neppure. Possiamo esser segno anche in pagina, in tutte quelle vite che in straordinario e faticoso e, a volte, rischioso modo incontriamo incontrando e raccontando il "mondo". E sappiamo – Claudio lo sa, Domenico continua a dircelo – che questo segno, quando è vero, può costarci anche di noi.