L'eredità. Il custode e il groviglio. Il lascito di Napolitano, gran riformista
Quasi undici anni fa Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica in carica, nel suo Messaggio di fine anno del 2012 tornava a chiedere a tutti noi – a cominciare da coloro che hanno il potere di decidere, di intraprendere e di informare – di osare il «linguaggio della verità», aiutandoci reciprocamente a fare i conti con la realtà per complicata che essa sia. E rincuorava quanti s’impegnavano (e s’impegnano) a farlo senza rassegnarsi a disuguaglianze e sopraffazioni, a corruzioni e tradimenti del patto democratico e costituzionale che dà senso alla nostra comune cittadinanza. Ancora lì siamo, in un concerto politico-mediatico spesso distorcente, stordente e mortificante.
Napolitano, protagonista di una lunghissima militanza di partito sino a ricoprire importanti ruoli di governo e le più alte cariche istituzionali, avvertiva anche che i giovani italiani avevano «ragioni da vendere» a polemizzare «con partiti e governi» a causa di «pesanti errori e ritardi, scelte sbagliate e riforme mancate», definendolo un «groviglio e intreccio di nodi irrisolti che pesa sull'avvenire». Ancora lì siamo, in un’epoca di guerra e di cambiamenti climatici, di finanza irresponsabile e di nazionalismi indifferenti e insidiosi, di diffusi impoverimenti morali e materiali, di minoranze radicalizzate eppure inconcludenti e di maggioranze disorientate.
E il lascito di questo tenace «servitore della patria», parola di papa Francesco, ora che dopo 98 anni il suo personale tempo s’è compiuto, è uno sprone a rifare bella la politica, a ricominciare a scrivere la storia per costruire un futuro davvero diverso. Un domani che si chiama Italia e dall’Italia non esclude e non spinge via nessuno e nessuna. Un avvenire che si chiama Europa e nell’Europa accoglie e include, valorizzando le identità, le culture e le fedi.
Giorgio Napolitano, da uomo di sinistra figlio della storia comunista e persuaso della sua evoluzione riformista e socialdemocratica, ha vissuto con intima coerenza molte vite pubbliche e una sola vita privata, regola diventata niente affatto scontata e certo non banale negli ultimi trent'anni. E, col suo piglio, via via più determinato e spesso determinante, ha saputo parlare agli italiani e in frangenti difficili e amari della vicenda collettiva ha provato, con convinzione, a parlare a loro nome.
Non sempre c’è riuscito, ma molte volte sì, e questo perché era uno di quei politici che non trovano disdicevole ascoltare la gente semplice senza illuderla o eccitarla e perché aveva imparato a una grande scuola a prendere sul serio, cercando soluzioni e non sfornando slogan, le questioni complesse. Come quando seppe affrontare e “governare” gli anni durissimi e formidabili che tra il 2008 e il 2013 hanno reso indimenticabile la sua presidenza della Repubblica. Lo scrivemmo quando si congedò dal Quirinale a metà gennaio 2015, a due anni da una rielezione senza precedenti, non voluta e accettata per puro spirito di servizio (proprio come poi è accaduto a Sergio Mattarella), e oggi – volgendo indietro lo sguardo – questo tratto del profilo di Napolitano appare se possibile ancora più netto ed essenziale.
Non aveva il carisma o la presunzione dell’infallibilità, e sapeva – si perdoni la battuta – che neanche la frequentazione intensa e amica di Benedetto XVI, prima, e di Francesco, poi, glieli aveva trasmessi. E qui una testimonianza s’impone.
Un momento di marcata distanza tra alcune pensose e forti scelte di Napolitano presidente e l’altrettanto pensosa e argomentata opinione di questo giornale e, personalmente, di chi scrive fu la mancata emanazione nel febbraio 2009 del decreto legge che avrebbe scongiurato la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione di Eluana Englaro. Una distanza generata non soltanto dallo squassante merito del caso, ma anche dalla delicata questione posta dal cozzo tra la potestà legislativa (di Parlamento e, nei casi previsti, Governo) e i precisi doveri di garanzia della suprema magistratura repubblicana. Tema riaffrontato più volte con rispetto, profondità e chiarezza su queste pagine e perciò oggetto, anni dopo, di una lunga e appassionata e altrettanto rispettosa lettera riservata che il presidente Napolitano volle farmi avere. Lo stile, in questo senso, è sostanza. E Giorgio Napolitano, su una lunghezza d’onda ricercata da tanti di noi, ha contribuito a dimostrare che l’onestà del dialogo non annulla le differenze ma le compone, custodendo anche così il bene comune con i valori condivisi che lo rendono possibile. E nessuna vera, serena e rigorosa custodia è mai soltanto conservazione di cose e posizioni. Grazie, ancora una volta, presidente Napolitano.