Opinioni

L'OSPITE - Perché dire sì alla legge sulle «Dat». Per dare risposta a una questione di civiltà

Gabriele Toccafondi - Deputato del Pdl venerdì 11 marzo 2011
Dico e dirò sì con convinzione alla legge sulle Dat. È doverosa e l’alternativa si chiama anarchia. Può essere scritta meglio, come molte leggi. Ma nessuno può onestamente pensare che nel fare una legge come questa, sapendo che c’era il dovere di darle "gambe" per stare in piedi era ed è obbligatorio fare i conti con le sentenze del caso Englaro e con il pronunciamento della Corte Costituzionale in merito ai ricorsi del Parlamento. Il Parlamento, insomma, su questo tema non ha potuto scrivere su un foglio bianco ma su un foglio nel quale alcune parole erano già segnate in modo indelebile. E fare i conti con la realtà è un esercizio che aiuta nel dare un giudizio. Il realismo esige che per osservare un oggetto in modo tale da conoscerlo il metodo non sia immaginato, pensato, organizzato, creato dal soggetto stesso, ma sia imposto dall’oggetto. Per questo è utile ricordare sempre i fatti che hanno portato a questa proposta di legge.Come parlamentare, mi sento in dovere di non lasciare che sia la magistratura a fare le leggi e vorrei anche che fosse chiaro a tutti che il problema è urgente, visto che sono circa termila le persone in stato vegetativo, che ci sono decine di casi pronti essere proposti nei tribunali italiani e che sono alcune migliaia le dichiarazioni di volontà depositate presso notai ed enti locali che qualche "associazione" è già pronta a portare in tribunale.Questo è un testo di cui molti parlano e che pochi conoscono. È un sistema di regole che dice chiaramente "no" all’eutanasia e "no" all’accanimento terapeutico (art.1 - art.7). È una legge che prevede un’alleanza e un rapporto di fiducia tra medico e paziente (art.2) e, facendo questo, stabilisce chiaramente che nessun soggetto esterno potrà interpretare le volontà del paziente che valuterà rispetto alle cure insieme al proprio medico. Sulla scia della sentenza, e del precedente Englaro, sono previste delle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) che contengono alcuni punti fermi (art.3 e art.4): la dichiarazione assume rilievo quando è certa, scritta, firmata, non è quindi più possibile ricostruire – o immaginare – le dichiarazioni di volontà. Assume rilievo quando è certo che il paziente non sia più capace di comprendere (perciò solo se l’incapacità è provata). Ha validità di 5 anni, e quindi la volontà deve essere espressa e confermata. Alimentazione e idratazione non sono oggetto di Dichiarazioni e non possono essere equiparate a terapie mediche, tranne nel caso in cui non risultino più efficaci nel fornire fattori nutrizionali. In condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la Dichiarazione non si applica (art.4), il medico applica il principio di inviolabilità della vita umana e della tutela della salute secondo principi di precauzione, proporzionalità e prudenza (art.7). Il medico curante ha un ruolo centrale sia nella fase di informazione costante al paziente cosciente sia in seguito quando lo stesso si trova nell’incapacità permanente di comprendere e quindi subentra la Dichiarazione di trattamento. In questo caso al paziente si affianca il fiduciario, da lui nominato (art.6) che sarà l’unica persona autorizzata ad interagire con il medico. In caso di controversia tra medico curante e fiduciario la questione viene sottoposta ad un collegio di medici (art.7).Durante tutto l’iter in commissione e in questi giorni di dibattito in aula alla Camera ascoltando gli interventi mi è venuta spesso una domanda: che società è quella che chiama la vita «un inferno» e la morte «una liberazione»? La questione è grave e lo è ancora di più in quanto si vuole impedire l’esercizio della solidarietà, perché c’è chi si stava prendendo cura di Eluana e, come dichiarato pubblicamente, avrebbe continuato gratuitamente a farlo e questo vale per tanti altri.La storia del nostro popolo è un’altra. La storia della medicina è progredita quando si è cominciata l’assistenza agli "inguaribili", che prima venivano espulsi dalla comunità degli uomini "sani", lasciati morire fuori dalle mura della città o eliminati. Chi cominciò a prendersi cura degli inguaribili lo fece per una ragione che era più potente della vita stessa: una passione per il destino dell’altro uomo. La stessa storia degli ospedali nasce da qui. Una storia che adesso sta rischiando una brusca inversione.Il caso Eluana, e il dibattito su questa legge, ci mette davanti alla prima evidenza che emerge nella nostra vita: non ci facciamo da soli. Siamo voluti da un Altro. «Persino i capelli del vostro capo sono contati». Rifiutare questa evidenza vuol dire rifiutare la realtà e chi rifiuta la realtà rifiuta di vivere.