Opinioni

Editoriale. Ecco perché c'è bisogno di Donne per la pace

Lucia Capuzzi, Viviana Daloiso, Antonella Mariani venerdì 17 maggio 2024

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Non è cambiato nulla attorno a noi da quando, l'8 marzo scorso, Avvenire ha deciso di dedicare una campagna alle Donne per la pace. Non s’è fermata la guerra in Medio Oriente, non sono tornati a casa gli ostaggi israeliani, non smettono di piovere bombe sull’Ucraina e di morire soldati russi al fronte. Non si sono interrotte nemmeno le decine di altri conflitti in tutto il pianeta. Non è cambiato il mondo, insomma, ma noi sì, noi siamo cambiate. Miriam, Alganesh, Nadia, Shirin, Monica, Magda… sono diventate parte di noi. Le loro storie e il loro impegno di donne di pace - concreto, pragmatico, come pragmatico è concreto è lo spirito femminile – sono diventati il nostro sogno di pace. Abbiamo pubblicato oltre 20 interviste a Premi Nobel, attiviste, mediatrici (le trovate sul sito, nel canale www.avvenire/donneperlapace). Tutte insieme, con le loro parole, ci hanno insegnato che il mondo potrebbe cambiare, se i potenti della Terra si convincessero che occorre invitare ai tavoli dei negoziati le donne. Senza, metà dell’umanità non è rappresentata. Senza, le voci dei deboli, delle vittime e di tutti coloro che sono tenuti ai margini del potere esattamente come accade alle donne, sono più flebili. Senza le donne nelle trattative – ce lo hanno spiegato ad esempio Monica McWilliams e Miriam Coronel Ferrer, firmatarie degli accordi che hanno posto fine alle guerre rispettivamente in Irlanda del Nord e nelle Filippine – si sarebbe parlato di confini, di eserciti, di territori, meno o affatto di sistemi educativi, di protezione delle vittime, di riparazione dei traumi. Senza le donne - Godelieve, Lea, Ouded, Gemma, Daniela e tutte le altre - non si sarebbero ricucite le ferite del genocidio in Ruanda, l’odio tra fazioni in Tunisia o in Libano, l’abisso di dolore scavato dalle stragi di terrorismo e di mafia nella nostra Italia.
E allora viene da chiedersi: come sarebbe cambiata la storia se nei primi negoziati ufficiali tra Ucraina e Russia, nel 2014 e nel 2015, ci fossero state più donne? Allora erano 2 per l’Ucraina, 0 per la Russia. Ancora: come cambierebbe la storia se in Egitto, a negoziare per la tregua tra Hamas e Israele, fossero invitate anche le madri che hanno perso un figlio in guerra, che attendono il ritorno di un ostaggio, le tante eredi – sì, esistono frotte di donne che credono nella pace, in Israele e in Palestina - della pacifista Vivien Silver, trucidata il 7 ottobre da Hamas a cui abbiamo dedicato il nostro progetto #donneperlapace? Come cambierebbe la storia se si desse credito a chi la pace la costruisce vivendo, come le madri israeliane e palestinesi di Parents Circle, di Women Wage, di Women of the Sun o ancora dell’Oasi di pace Neve Shalom Wahat al-Salam, il villaggio fuori Gerusalemme in cui bimbi ebrei e palestinesi studiano insieme e che con la nostra campagna abbiamo sostenuto? Questo è il mondo che noi sogniamo: dove le donne abbiano voce, dove sia accolta la differenza, dove la pace non è quella impossibile delle armi e dei bombardamenti, ma quella costruita prima di tutto da cuori che non si arrendono all’ineluttabilità della violenza e della sopraffazione. «Il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono». Lo ha detto papa Francesco il primo gennaio 2024. Ce lo hanno ripetuto, all’unanimità, le nostre #donneperlapace. Oggi la loro voce, con la nostra, si unisce alle migliaia dell’Arena di Verona: dal basso, dalle periferie del mondo e del nostro Paese, dalle persone che non vogliono rassegnarsi alla violenza si alza un grido che non può più essere ignorato. Vogliamo pace. Femminile singolare.