Mobilità. Ecco come l'auto elettrica può essere utile all'ambiente
Nel 2018 il parco dei veicoli elettrici (EV, Electric Vehicles) nel mondo contava 5,1 milioni di auto, 260 milioni di moto e 460.000 bus. In totale i mezzi di trasporto elettrificati avrebbero emesso 41 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (MT CO2-eq), 36 in meno rispetto alle quantità emesse da un numero simile di veicoli a combustibile fossile. La mobilità elettrica sembra essere sempre più amata dagli utenti e il mercato è in continua espansione (il numero di EV nuovi registrati nel 2018 è raddoppiato rispetto all’anno precedente), ma come evolverà lo scenario dell’elettrico nel prossimo decennio? Innanzitutto l’espansione dell’EV dipenderà dalla politica di sussidi e dagli incentivi garantiti dai singoli governi. Un esempio è costituito dalla Norvegia, il Paese dove l’elettrico è più diffuso in termini pro capite e quello più vicino a noi per un confronto il più possibile equilibrato. Qui il mercato della mobilità elettrica si è ampliato grazie alle generose agevolazioni concesse dal governo durante e dopo l’acquisto. Un norvegese che decide di comprare un’EV ha diritto alla detassazione del-l’Iva e delle tasse per emissioni di CO2 e NOx arrivando a pagare una Tesla Model S 75D 4WD l’equivalente di 67.000 Euro (in Italia un pari modello costerebbe sui 100.000 Euro) o una e-Gold Volkswagen 27.500 Euro.
Una volta in possesso di una EV, lo stesso norvegese ha diritto a parcheggi, autostrade, tunnel e traghetti gratuiti. Al tempo stesso il Paese scandinavo ha creato una capillare infrastruttura di colonnine di ricarica veloce che consentono di viaggiare senza problemi in gran parte della rete stradale. Ma gli aiuti economici hanno determinato anche effetti negativi: oltre ad aver diminuito le entrate statali (l’Istituto per l’economia dei trasporti ha stimato mancati introiti per 4 miliardi di NOK) i gestori dei servizi stradali e dei servizi di navigazione hanno sollevato proteste presso il governo chiedendo risarcimenti o sovvenzioni per la diminuzione di guadagni dovuta alle gratuità concesse ai veicoli elettrici.
Quello che, però sta destando maggior preoccupazione, anche tra le organizzazioni ambientaliste, è l’aumento del traffico cittadino: i possessori di auto elettriche, infatti, in genere preferiscono evitare di muoversi con i servizi pubblici. Tutto questo va ad impattare anche sull’aumento dello spazio destinato ai parcheggi, spesso sottratto alle zone verdi delle varie municipalità. La Norvegia ci insegna, quindi, che gli incentivi possono essere utili per indirizzare il mercato verso l’elettrico e creare un iniziale interesse tra gli utenti, ma non possono essere elargiti a lungo. Dal prossimo anno alcune municipalità inizieranno ad eliminare alcune sovvenzioni e gratuità, come i parcheggi o l’utilizzo di traghetti e pagamenti stradali, mentre il governo sta pensando di eliminare in modo graduale e parziale, gli incentivi sull’acquisto di un’auto EV. Inoltre l’utilizzo di una mobilità elettrica non determina necessariamente un cambiamento della coscienza ecologica da parte della popolazione dato che il 63% di chi ha comprato un’EV in Norvegia possiede comunque una seconda auto ibrida o a combustibile fossile.
Il mercato dell’elettrico dovrà proporre, oltre all’economia del viaggio, anche una sicurezza del viaggio, sviluppando batterie che garantiscano un’autonomia sempre maggiore. In questo senso si dirige il premio Nobel per la chimica 2019, dato a Akira Yoshino, Stanley Whittingham e John Goodenough per lo sviluppo delle batterie agli ioni di litio. Le nuove batterie al cobalto e al litio, però, genereranno una corsa all’accaparramento delle risorse di questi due elementi sempre più sfrenata (le riserve principali di cobalto sono nella Repubblica Democratica del Congo, Australia e Cuba, mentre le riserve di litio sono in Cile, Cina, Australia). Si verranno dunque a creane nuovi scenari economici e geopolitici che rimodelleranno, innestandosi su processi già in atto, le alleanze e le diplomazie mondiali esattamente come oggi accade per il petrolio. Le nuove batterie con catodi chimici NMC all’80% di nichel, 10% di manganese e 10% di cobalto ridurrebbero la quantità di cobalto, ma la richiesta totale continuerebbe comunque ad aumentare.
Gli investimenti della ricerca nel settore della mobilità elettrica sono notevolmente aumentati e continuano a crescere. Sono molte ormai le aziende, anche petrolifere, che guardano con sempre maggiore interesse verso le fonti di energia alternative. La Equinor, ad esempio, investe ormai il 25% del suo budget alla ricerca in questo campo, la Shell, che intende investire 1 miliardo di dollari all’anno entro il 2020 sulle energie alternative, ha acquisito la NewMotion, la GreenFlex e la Greenlots, la BP è il maggiore gestore di ricariche elettriche nel Regno Unito mentre la Chevron, oltre ad aver acquistato la Charge-Point, ha iniziato ad investire 100 milioni di dollari nella ricerca delle rinnovabili. Poca cosa, certo, ma una volta innestata la marcia sarà difficile interrompere il processo di sviluppo della mobilità elettrica. Un corposo rapporto commissionato dall’ETP, (Energy Technology Policy) e dall’Iea (International Energy Agency) che ha coinvolto decine di scienziati, ricercatori e tecnici di tutto il mondo ha previsto che entro il 2030 le vendite di auto completamente elettriche raggiungeranno i 23-43 milioni, pari al 2843% del totale, riducendo il consumo di prodotti petroliferi di 127-218 milioni di tonnellate di petrolio equivalente.
Bisogna però aggiungere che i dati che paragonano auto EV con quelle a combustibile fossile variano enormemente a seconda degli studi e delle politiche che si vogliono incentivare. Ha fatto scalpore, ad esempio, il recente studio dell’Istituto per ricerca economica tedesco che ha concluso che il diesel emette meno CO2 di un’auto elettrica, mentre ad un risultato esattamente opposta è giunta una ricerca, sempre tedesca, dell’Istituto Fraunhofer per sistemi e innovazione. L’Università di scienze e tecnologia di Trondheim, in Norvegia, uno degli istituti più prestigiosi in fatto di studi energetici ha stabilito che un’auto elettrica comincia ad avere un beneficio ambientale in fatto di emissione di CO2 solo dopo aver percorso tra i 45.000 e i 75.000 chilometri e solo presupponendo che durante questo periodo l’auto non subisca incidenti o guasti. Durante un ciclo medio di vita di 150.000 chilometri, una EV permetterebbe di risparmiare tra il 25 e il 30% di CO2 emessa rispetto ad un veicolo a combustibile fossile.
Quello su cui gli studi di ricerca concordano è che le auto completamente elettriche sono più ecologiche rispetto alle ibride solo in quei Paesi dove l’energia è prodotta da fonti rinnovabili, come in Norvegia. Se è vero che a livello locale l’emissione di gas serra diminuisce, l’intero ciclo di produzione e di smaltimento rende spesso l’EV meno ecologica rispetto ad altre alternative. Nelle economie dove l’energia consumata proviene prevalentemente da carbone, infatti, sarà l’auto ibrida (e in alcuni paesi addirittura l’auto a combustibile fossile) ad emettere complessivamente meno inquinanti o meno CO2. Ad oggi, una batteria per auto caricata con corrente da elettricità generata (non consumata) mediamente nel mondo (4,1% petrolio, 39,3% carbone, 22,9% gas naturale, 10,6% nucleare, 16% idroelettrica, 7,1% rinnovabili) emette una media di 518 grammi di CO2-equivalente per chilowattora. Per ora, quindi, l’auto EV permette sostanzialmente di spostare l’inquinamento atmosferico da un’area ad un’altra, ma il problema globale rimane ancora insoluto. In attesa di tempi migliori che solo la ricerca può offrici.