Vaccini per tutti, per giustizia e ragione. E sia il tempo di Martino
La storia la conosciamo tutti. Quarto secolo, Gallia romana: Martino, soldato imperiale, durante una ronda a cavallo in una notte invernale scorge un mendicante seminudo. Potrebbe tirar dritto, contando sull’uniforme e l’autorità militare: lo straccione se la caverà, in qualche modo. Il mondo va così, posso forse farci qualcosa? Invece si ferma, e in un istante cambia tutto: la sua vita, quella del misero abituato alle percosse o all’indifferenza, e lo sguardo di innumerevoli donne e uomini che da allora si sarebbero ispirati a quel gesto di condividere l’essenziale con lo scarto dell’umanità. La nicchia devozionale oggi va sempre più stretta a Martino e alla sua profetica spada usata per donare e non per offendere, o difendere. Viviamo infatti un tempo che ci spinge a tutelarci in ogni modo, anche a scapito di altri, ma arriva il momento in cui il gesto del Santo chiede di noi. Lo fa su temi imprevedibili, e da fonti sorprendenti.
Prendete l’Organizzazione mondiale della sanità. Da mesi va ripetendo, col direttore generale Tedros Ghebreyesus, eritreo, che è bene « vaccinare certe persone in tutti i Paesi piuttosto che tutte le persone in certi Paesi ». Quasi uno scioglilingua, ma è il cuore della questione: se non ci si muove in modo globale, marcando a specchio la strategia di diffusione del virus che della globalizzazione si sta servendo come di un acceleratore, lo sforzo titanico in corso nei Paesi benestanti si rivelerà inefficace.
Quand’anche a casa nostra fossimo tutti a posto, potremmo davvero stare al sicuro se sulla soglia si affacciano popoli interi tra i quali il virus scorrazza senza resistenza? A questa considerazione pragmatica si aggiunge l’interrogativo morale, persino ovvio: avvolto nel mantello della mia immunità, già certa o promessa, posso tollerare la vista di stragi perpetrate dal Covid tra persone che non posso considerare «fratelli tutti» solo quando lo leggo in un’enciclica?
Qui si pone un altro interrogativo inaggirabile: saremmo disposti a rinunciare a una parte delle nostre dosi di vaccino, già contingentate, perché possano riceverle persone come e più di noi bisognose di futuro e di speranza in regioni della nostra casa comune che ne sono cronicamente a corto? Ognuno prenda idealmente in mano la sua stessa fiala, quella con il lasciapassare per la vita 'dopo il Covid': Martino, nella notte gelida del Covid, cosa ne farebbe?
Ha ragione due volte il responsabile dell’Oms quando dice che «la pandemia ha smascherato le disuguaglianze del mondo», perché insieme a quelle planetarie sta scoperchiando anche la nostra miopia, la pretesa di «essere sani in un mondo malato», come disse il Papa in piazza San Pietro il 27 marzo, per poi chiarire il punto in più occasioni.
«Sarebbe triste – disse nell’udienza del 19 agosto – se nel vaccino per il Covid 19 si desse la priorità ai più ricchi! Sarebbe triste se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella nazione e non fosse universale e per tutti». Concetto ripreso ora da Ghebreyesus quando prende amaramente atto dei milioni di vaccinazioni nel Nord del mondo e delle poche migliaia in 130 nazioni del cosiddetto Sud, annotando come «proprio gli strumenti che dovrebbero aiutarci a superare la crisi, i vaccini, possono esacerbare le disuguaglianze», perché «non riusciremo a porre fine alla pandemia da nessuna parte finché non lo faremo ovunque».
Ma la caccia globale a nuovi milioni di dosi per assicurare munizioni alla campagna vaccinale rischia di spazzar via questo allarme come un’istanza nobile e irrealistica: chi annuncerebbe oggi non il raddoppio dei flaconi in arrivo bensì la loro parziale riduzione per consentire a un Paese povero di iniziare a proteggersi, fosse anche solo con una dose ogni dieci? Il capo dell’Oms attinge alla saggezza della sua terra d’Africa: «Quando un villaggio è in fiamme non ha senso che un piccolo gruppo di persone accumuli tutti gli estintori per difendere le proprie case. Il fuoco si spegnerà più velocemente se tutti hanno un estintore e lavorano insieme». Metafora poi ripresa incoraggiando la comunità internazionale a consolidare il dimezzamento dei contagi nell’ultimo mese:
«L’incendio non è domato, ma abbiamo ridotto le sue dimensioni. Se smettiamo di combatterlo su qualsisasi fronte, ritornerà ruggendo». Il rogo planetario del Covid impone ora che si metta mano alla spada e si divida il mantello dei vaccini, insistendo semmai perché l’industria dei farmaci ne assicuri abbastanza per iniziare la risposta al virus per tutta l’umanità, con le istituzioni sovranazionali a garantire che nessuno si accaparri fiale mettendo sul piatto (o sotto il tavolo) più soldi degli altri, senza alimentare assurde competizioni tra ricchi per arrivare prima all’immunità della popolazione e, soprattutto, devastanti 'guerre tra poveri' che si contendono le dosi. Una iniqua divisione dei vaccini ci renderebbe ancor più malati, di un virus incurabile. Se ogni uomo mi è fratello non posso sopportare che debba aspettare la fine del mio turno. Il mondo nuovo e più giusto che attendiamo di veder sorgere dal deserto della crisi si fonda anche così.