E io ripenso alla vecchiaia splendente dei miei nonni
Gentile direttore,
ho letto la lettera accompagnata dalla sua risposta e intitolata «Ecco quand’è che l’esperienza può diventare anche saggezza» ('Avvenire', 27 ottobre 2020). E vorrei aggiungere qualche mia considerazione su ciò che le ha scritto il signor Edgardo Grillo. Mi domando come si fa a porsi certe domande: «Ma a che serve la saggezza se giunge solo all’approssimarsi dell’ultimo traguardo?». Pensiamo a chi subisce torture nei campi di detenzione in Libia, a chi da anni e anni soffre per la guerra in Siria, in Afghanistan o in Congo... Crediamo forse che si ponga il problema di come il tempo che passa segna il suo aspetto fisico o per quale strano motivo la saggezza aumenta solo con l’avanzare del tempo? Il tempo è dono di Dio, per dirla con il Papa. Immaginiamo un po’ se non ci fosse dato... Per quanto mi riguarda sottoscrivo il vecchio detto «Ah, la gioventù è una malattia dalla quale si guarisce presto » a meno che non si voglia, più o meno consapevolmente, morire giovani. Anch’io sono arrivata alla conclusione che la vera demolizione che può essere prodotta dal tempo che passa è quella dello spirito, e che ha un solo antidoto: la carità... E ripensando alla vecchiaia dei nostri nonni – e io ci ripenso – mi rendo conto che chi di loro ne è stato pervaso splende tutt’ora ai miei occhi.
Sono d’accordo con lei, gentile signora, portare con semplicità la propria età e affrontare con fortezza di spirito la fatica e gli inevitabili dolori che sono propri degli anni avanzati è prova di saggezza ed esempio indimenticabile. Ma soprattutto trovo anch’io affascinanti e addirittura splendenti le persone che invecchiano così, restando nella propria pelle, nella propria storia e in quella di tutti. Personalmente spero e prego di poter vivere la mia vecchiaia come il «privilegio per se stessi e per gli altri» di cui ci parla papa Francesco.