Due parole grandi e terribili. La morte, tra dignità e speranza
Nei giorni in cui il mondo conta a milioni i suoi malati e i suoi morti per l’invisibile nemico che a ondate l’insidia, nei giorni che precedono un Natale di impediti abbracci fra i vivi, un ampio documento della CEI parla in modo profondamente umano di malattia e di morte. S’intitola 'Alla sera della vita' e offre 'riflessioni sulla fase terminale della vita terrena'.
Pensieri e quesiti che da sempre abitano la mente e il cuore degli uomini, e di cui ognuno avverte l’incombere inquieto, fino a censurarne l’angoscia segreta. La morte, la nemica. Quella dei nostri cari, i volti perduti, le parole d’amore troncate.
La nostra morte, attesa inattesa, scongiurata inesorata, lo scacco assurdo. Oppure, la morte sorella? E la vita, il miracolo acceso in un granello del cosmo fatto di miliardi di stelle senza vita. Perché la malattia, il dolore? Che fare alla sera della vita?
Il documento è denso. Ha un impianto di forte umanesimo: c’è antropologia, etica, diritto; c’è naturalmente il radicamento teologico e l’indirizzo pastorale. In larga misura contiene cose già dette e riprese, punti certi d’approdo. La parte più bella è quella scritta col cuore; quella che illumina la grandezza e la bellezza dell’essere umano, la sua vocazione a pienezza di vita; quella che focalizza la relazione come alimento essenziale della vita, e fa emergere in specie la relazione di cura come modello umano dell’arte della salute; quella che proietta la sera della vita su un’alba di speranza.
Due parole, grandi e terribili, sembrano infatti anticipare nell’introduzione le emozioni che il lettore incontrerà. Una è dignità, l’altra è speranza. Dignità è parola che ricorre in infiniti testi di leggi, trattati, dichiarazioni, senza poterla definire, se non per intuizione. Qui è dichiarata in esplicito: è la grandezza nativa della persona umana, è la differenza specifica che attinge un vertice (il pensiero, la coscienza e la libertà) che stacca l’uomo dal determinismo che regola il cosmo. In una visione anche solo
terrestre si direbbe che una creatura così è 'poco meno di un dio'; nella fede è immagine di Dio. Quale rispetto, dunque, quale empatia, quale condivisione, quale cura merita la sera della vita. In ogni condizione in cui versi, forte o fragile, sana o malata, nascente o morente, la persona umana ha lo stesso valore, la stessa dignità. Nessuna vita può essere abbandonata, svilita, scartata.
C’è chi parla di 'morire con dignità' e lo intende come rifiuto d’una vita penosa.
Anche il documento parla del morire con dignità, e lo chiama diritto; ma lo inserisce nella diversa cornice sapienziale ed etica che è 'umanizzare il morire', con l’ausilio della terapia del dolore e la rinuncia a mezzi sproporzionati.
Dottrina assodata, che rifiuta sia l’eutanasia e l’abbandono sia l’accanimento terapeutico. Tornano gli asserti sull’arte medica, la beneficialità, il dialogo, la coscienza. Ma etica e diritto non rubano spazio alla passione con cui si disegna il rapporto esistenziale del dono di sé, qualcosa di simile, più che a un rispetto, a un amore. Soluzione, forse, a tanti momenti conflittuali che amareggiano il mondo della salute, e persino a tanti casi di coscienza. Non sono ignorate le difficoltà che nascono da talune ambigue disposizioni di legge, non si tace sul primato della coscienza.
Ma questo, come pure la coerente esclusione di pratiche eutanasiche o di suicidio, si innesta in un orizzonte più grande che non un catalogo di precetti. Tocca la stessa vocazione umana. E l’altra parola grande e terribile: la speranza. Quando tutto sembra arrestarsi e crollare davanti alla barriera della morte, rivelando la fragilità e precarietà della vita, è possibile abitare il proprio morire con speranza. Sperare è pensare un futuro, sperare è attenderlo. L’attesa è una fede, una prova nei deserti del dubbio. Ma fra tutte le attese c’è un 'attender certo' che è la speranza. Essa ancora germoglia nel solco della morte, quando la sintesi della vita consumata può giudicarsi secondo la misura dell’amore. Tre virtù teologali allacciate alla morte. A una sorella morte, che è soglia di Vita.