Domenico Dolce e Stefano Gabbana «sono innocenti»: non hanno evaso il fisco e l’operazione di vendita del marchio effettuata in Lussemburgo con un’imposizione ridotta «è pienamente legittima». Il gruppo ha agito «come si conviene a un’azienda moderna», ha sostenuto ieri il procuratore generale di Milano nel processo d’appello. «No, i due stilisti e i loro collaboratori vanno condannati: c’è stato il dolo dell’evasione, anche particolarmente rilevante», ha invece obiettato l’avvocato dell’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma della condanna comminata in primo grado. Sarà la sentenza in futuro a stabilire se i due stilisti sono colpevoli o innocenti dei capi d’accusa. Di sicuro, però, in questa vicenda ci sono almeno due colpevoli certi e una serie di vittime innocenti.Il primo colpevole è la Comunità europea. E più ancora i suoi Stati membri, incapaci di armonizzare le legislazioni societarie e i trattamenti fiscali. Si pretende che all’interno dell’Unione sia uniforme la curvatura delle banane, ma poi si lascia che le singole nazioni si facciano concorrenza sleale sulle aliquote applicate ai redditi d’impresa e alle rendite finanziarie. Una sorta di suq, nel quale si può scegliere di avere la sede legale in un Paese, l’holding di controllo in un altro e gli stabilimenti in un terzo, a seconda della (propria) convenienza. Il secondo colpevole, però, è lo Stato italiano. I poteri legislativo e giudiziario. Perché, per restare all’esempio di Dolce&Gabbana, le indagini e i processi su questa operazione durano da 7 anni con 2 assoluzioni, 1 annullamento in Cassazione, alcune parziali prescrizioni, 2 condanne e un processo d’appello – ora in corso – in cui l’accusa chiede l’assoluzione e la parte civile la condanna. Delle due l’una: o la norma di legge è scritta talmente male da poter essere interpretata in qualsiasi maniera o è la magistratura a interpretare troppo le norme secondo criteri non oggettivi. Di sicuro, quantomeno sul piano fiscale, da noi non vige alcuna certezza del diritto.Vittime certe di questi due colpevoli, però, siamo tutti noi, cittadini "semplici". Vittime due, tre, infinite volte. La prima perché a noi contribuenti normali non è concesso scegliere la domiciliazione fiscale più conveniente (ad esempio la Francia per le famiglie con figli) o avere parte dello stipendio "estero-vestito", in dollari o sterline, versato in una banca straniera. La seconda perché di questo turbinio di vendite di marchi, di fabbriche portatili come valigie, fanno sempre più spesso le spese i lavoratori, senza più un posto certo. La terza, e le altre infinite volte, perché tutti questi magheggi – leciti o meno – sottraggono risorse fondamentali al finanziamento dello Stato e dello stato sociale. Cioè alla tutela dei più deboli. E questa è la colpa più grave di tutte.