A Palermo e in Calabria. Il no alla mafia che vuole usare la Chiesa
Alla mafia piace la Chiesa. Ma quale Chiesa? Quella che può fungere da “palcoscenico”, da usare per apparire. Una Chiesa esteriore, per dare spettacolo del proprio potere. E così garantire il consenso. Perché, è bene ricordarlo, senza consenso non sarebbe mafia. Non è solo violenza e prevaricazione. Chiesa esteriore, non religiosità, non spiritualità. Una Chiesa vuota. Tutta per sé. Così la mafia usa, gestisce, corrompe, le feste patronali, le processioni. Vuole che i santi si inchinino al suo potere. Trasforma eventi di pietà popolare in “fatti propri”, “cosa nostra”. Ma trasforma anche momenti personali, familiari, di intimo rapporto con Dio, in esibizione di potere. Così il boss Tommaso Lo Presti, uscito dal carcere a fine 2023 dopo 12 anni, e la moglie Teresa Marino, anch’essa pregiudicata per mafia, e finita in galera come cassiera del clan di Porta Nuova, hanno voluto festeggiare sfarzosamente in chiesa il loro 25esimo di matrimonio. Hanno scelto un luogo doppiamente sacro per palermitani, siciliani e italiani, la chiesa di San Domenico, il pantheon di Palermo, dove è sepolto anche Giovanni Falcone. Una doppia offesa. Il rettore in una nota ha spiegato che non sapeva chi fossero. Gli crediamo. Ma nessuno lo ha consigliato? Lo ha avvertito? Ha anche aggiunto che «non credano i mafiosi di poter accedere ai sacramenti con sotterfugi di sorta: nessuna salvezza è possibile fuori da una prospettiva di pentimento e di conversione». E quanto all’offerta fatta dalla coppia, ha precisato che la terrà destinandola «ad iniziative a sostegno della lotta alla mafia». Quei soldi, però, puzzano di male, dolore, violenza.
Alcuni anni fa in un altro territorio, non meno delicato di Palermo come la Calabria, quando il vescovo di Locri-Gerace, don Franco Oliva, seppe che i restauri di una parrocchia erano stati pagati con l’offerta di un personaggio poco raccomandabile, pretese che quei soldi fossero restituiti, e con due bonifici della Diocesi, citando le parole di Papa Francesco, «Il Popolo di Dio, cioè la Chiesa, non ha bisogno di soldi sporchi», perché fosse documentato da che parte sta la Chiesa. Già, perché la mafia non ama questa Chiesa che ribadisce l’inconciliabilità tra mafia e Vangelo. Come ribadisce quasi quotidianamente l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice. E la mafia, che ama la Chiesa che vorrebbe, silente e “utile”, invece odia la vera Chiesa. E continua a colpirla. È la “Chiesa in uscita” di Papa Francesco, è la Chiesa di padre Pino Puglisi, che parlava dritto ai mafiosi, che proclamava il Vangelo coi fatti, che salvava i giovani dalle lusinghe criminali, che univa Cielo e Terra, chiedendo per Brancaccio scuole, sport, lavoro. La mafia temeva don Pino e lo ha ucciso. Ma continua a temere le sue opere e la sua memoria. Così è stata danneggiata la mostra fotografica in piazzetta Beato Padre Pino Puglisi, il luogo dove venne ucciso nel 1993. L’ennesimo atto contro il Centro Padre Nostro.
Perché la memoria non si piega, diventa impegno e anche dopo la morte dà buoni frutti. È quello che fa la Chiesa che la mafia teme, odia, e continua a colpire. «Coloro che nella loro vita hanno queste strade di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio, sono scomunicati», aveva detto papa Francesco quasi dieci anni fa, il 21 giugno 2014, nella grande Piana di Sibari. Parole chiare di una Chiesa non a uso e consumo dei mafiosi.