Il cielo è limpido e soffia un vento allegro e irrispettoso, che toglie lo zucchetto al Papa e si diverte e scompigliare le vesti di vescovi e cardinali. In una piazza del Duomo colma l’arrivo di Benedetto XVI assume subito, dopo giorni di pena per la Chiesa, il calore di una festa di popolo. Come, al di là di tutto ciò che possa accadere nei palazzi e sui giornali, il farsi largo solare della faccia della Chiesa autentica: madri, padri, bambini, parroci, suore, volontari, scout... Chiesa, cioè noi. Sembrano quasi, quelle facce accaldate di pellegrini stranieri mescolati a milanesi e brianzoli, la solare rivincita contro chi ama alimentare l’immagine di una Chiesa alla Dan Brown. Accolgono il Papa con un boato, lo chiamano per nome. Lui distende la faccia austera in un sorriso: è un abbraccio forte, come con uno di famiglia che torni dopo molto tempo.Da ventotto anni un Papa non veniva a Milano. Forse la metà di quelli che sono in piazza non c’era ancora nel 1984, nei giorni della visita di Giovanni Paolo II. E Milano, quanto è cambiata in questi anni: tanto che spesso, noi che ci siamo nati, fatichiamo a riconoscerla. Ma cosa dice Benedetto XVI alla piazza che ne è il cuore, e prima ancora di parlare dell’incontro delle famiglie? Perché in questo primo faccia a faccia il Papa parla proprio a Milano, alla sua gente. Ricorda Ambrogio e traccia, da san Carlo a Schuster a Montini, rapidamente il filo antico della fede che sta come una filigrana dentro il tessuto della città. Nelle chiese, nelle pietre, così in profondità che sarebbe difficile distinguere orme cristiane e orme laiche, tanto qui si sono nei secoli intrecciate. Un tesoro di secoli di cultura e di fede. Ma ora, dice Benedetto, spetta a voi «trasmettere alle future generazioni una così luminosa tradizione».Trasmettere: la prima parola per Milano è già memoria e compito. Sotto ai mille santi e vescovi e vergini di marmo del Duomo, che sembrano chinarsi sulla folla pensosi, il successore di Pietro ricorda il primo dovere che abbiamo: continuare questa nostra storia. Nella fede ereditata da giganti come Ambrogio e Carlo, e che sembra quasi troppo smisurata per noi uomini del 2012, noi stretti tra monolocali e figli unici e fast food, noi incalzati a vivere sempre più veloci e distratti. Noi educati a vivere solo nel presente, a osare progetti brevi, a contentarci di affetti che un giorno finiscono. Da dove si ricomincia a vivere più umanamente? Dalla famiglia, dice il Papa alla folla sul sagrato. Da quel ricominciare tenacemente ogni giorno che non consuma e brucia le persone come oggetti; che rimane accanto anche quando gli altri ci lasciano soli. Da quel restare, fedele, che molti figli hanno visto ormai solo nei nonni; così che credono ormai l’amore di quelle generazioni fosse di un’altra consistenza, e natura.Trasmettere, allargando lo sguardo oltre le anguste pareti di casa verso un "bene comune". Che cos’è? Esiste ancora? Sembriamo così soli la mattina nei vagoni affollati del metrò – come se ciascuno se ne andasse come una monade, per la sua strada. Eppure, quanto fortemente ci manca questo respiro più largo, che ha costruito Milano e le ha impresso quel marchio di laboriosità nordica eppure benigna testimoniato dalla secolare storia della carità ambrosiana. «La Milano positivamente laica e la Milano della fede sono chiamate a concorrere al bene comune», dice infine il Papa. Che è quanto questa città ha saputo fare almeno fino al dopoguerra, che è la trama del suo tessuto, quella filigrana che ancora, spesso, affiora.Ma perché preoccuparsi di un bene comune?, potrebbe obiettare l’anima più laica e borghese di questa città, quella che dell’individualismo ha fatto la sua vera religione. Perché? Perché nel momento in cui si ha un figlio ci si accorge che vivere per sé non basta. Che lui ha bisogno di scuole, compagni, e maestri, e amici, e poi di un lavoro; e di un senso buono che spinga, ogni mattina, avanti. E se l’Italia potesse ricominciare proprio da questa piazza di Milano, dal dovere di trasmettere, dalla tensione a un comune bene? Insieme, le sue due anime diventate nel tempo distanti potrebbero fare molte cose. Due anime, anzi una. Per parte nostra, spinti dalla forza di una fede vera; che, come ha detto ieri il cardinale Scola, per sua natura «è appassionata a tutto l’uomo».