L'Italia al voto, l'Europa, gli «illiberali». Dove stiamo, dove staremo
La guerra in Ucraina sta mettendo alla prova l’Unione Europea e rimescolando gli equilibri tra i Paesi membri. Il caso Ungheria, esploso con nuova forza nell’ultima settimana, lo dimostra in modo evidente. Budapest è sotto osservazione dal 2018 per possibile mancata aderenza ai valori fondamentali della Ue (che sono cinque: libertà, democrazia, stato di diritto, uguaglianza e rispetto per la dignità e i diritti umani).
Nei giorni scorsi, il Parlamento di Strasburgo ha votato a larga maggioranza - 433 voti a favore, 123 contrari con 28 astenuti - un rapporto ampio e dettagliato che definisce il Paese magiaro «un regime ibrido di autocrazia elettorale», nel quale si tengono regolarmente elezioni ma senza rispettare le norme democratiche basilari. Domenica, di conseguenza, la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen ha chiesto al Consiglio, formato dai capi di Stato e di governo dei 27, di tagliare fondi per 7,5 miliardi di euro all’Ungheria per violazioni allo Stato di diritto. La decisione sul riconoscimento delle violazioni deve essere presa all’unanimità entro il mese di novembre e la Polonia, anch’essa sotto procedure di infrazione per alcune fattispecie simili, in precedenza aveva manifestato la sua opposizione, in un accordo di reciprocità informale siglato con il partner del gruppo di Visegrad (che univa i Paesi euroscettici dell’Est).
Ma l’invasione russa ha complicato la situazione, perché Varsavia ha un secolare contenzioso con Mosca (per usare un eufemismo) e sostiene con tutte le proprie forze la resistenza di Kiev, mentre il governo di Budapest ha stretto negli ultimi anni un rapporto sempre più stretto con il Cremlino che in questi mesi gli ha fruttato vantaggi nella fornitura di gas. E un appoggio ufficiale proprio lunedì scorso, con una dichiarazione della presidenza della Federazione Russa in cui «si accoglie con favore» che l’Ungheria abbia mantenuto «una posizione sovrana su molte questioni». In altre parole, Vladimir Putin loda il premier Viktor Orbán per essersi distanziato dalle posizioni europee filo-ucraine.
I due gruppi che si sono schierati con Budapest al Parlamento Ue sono Identità e democrazia, di cui fa parte la Lega, e i Conservatori europei, di cui è leader Giorgia Meloni. Secondo Matteo Salvini e Fratelli d’Italia, i quali hanno sposato la relazione di minoranza, i punti contestati sono dovuti a valutazioni soggettive e fondamentalmente espressione di un pregiudizio politico verso la maggioranza al potere dal 2010 a Budapest. Il rapporto votato a Strasburgo è in realtà un elenco minuzioso, sulla base di varie fonti e di missioni in loco dei deputati, diviso in capitoli che riguardano il funzionamento del sistema elettorale e costituzionale (per esempio, le regole favoriscono i partiti già al governo, le istituzioni di garanzia sono di fatto assoggettate all’esecutivo); l’indipendenza del potere giudiziario (ampiamente ridotta nel tempo); la corruzione e i conflitti di interesse (che sono ampi e poco contrastati); la libertà di espressione (i media sono stati sostanzialmente messi sotto il controllo stat le tramite una fondazione); la libertà accademica (la prestigiosa Central European University, promossa dal finanziere Soros, è stata costretta a trasferirsi a Vienna); i diritti delle minoranze (rom ed ebrei hanno subito diverse forme di discriminazione); e i diritti dei migranti e dei rifugiati (rifiuto di accoglienza, espulsioni e messa fuori legge delle Ong).
Sull’Ungheria incombe ora l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 7 del Trattato europeo, ovvero la sospensione del diritto di voto.
Sarebbe la prima volta e costituirebbe una ferita per l’Unione, costretta a riconoscere che la democrazia è a rischio anche in uno dei suoi Stati membri. Più che l’esecrazione continentale potrebbe però essere dirimente la sanzione economica. Orbán non vuole rinunciare ai finanziamenti che nel tempo hanno permesso la crescita della sua nazione e ora promette riforme per venire incontro ai rilievi della Ue. Sembra tuttavia difficile che in un paio di mesi possa cambiare il volto del suo sistema di potere. Ciò che interroga la comunità internazionale è il ruolo (chiave) che in questa partita vorrà giocare l’Italia, uno dei fondatori e dei maggiori Paesi comunitari, se il prossimo governo dovesse avere la leadership di riferimento di Giorgia Meloni, sostenuta da una coalizione che include la Lega. Fdi si schiera sul fronte atlantico e contro Mosca, ma probabilmente continua a ritenere l’Ungheria un esempio di 'sovranità' in sintonia con le politiche che vorrebbe adottare anche a Roma. Salvini non nasconde la maggiore vicinanza alla Federazione Russa e il suo atteggiamento critico verso la Ue. Più distante il terzo partner: Forza Italia sta nel Partito popolare che ha sospeso Fidesz, la formazione dell’uomo forte di Budapest, già nel 2019, prima della sua uscita definitiva; in più Berlusconi ha dichiarato che starà con l’Europa e non con Orbán. Il voto per l’applicazione dell’articolo 7 è a maggioranza qualificata, almeno il 72% degli Stati membri e il 65% della popolazione. Che cosa farà un ipotetico prossimo esecutivo di centrodestra? Romperà l’asse centrale della Ue Berlino-Parigi- Roma diventando apertamente di destracentro e mettendoci in posizione di isolamento per 'salvare' il teorico della democrazia illiberale? L’Europa va incontro ad acque agitate e anche l’Italia sarà presto chiamata a scelte dalle conseguenze molto rilevanti.