Una domenica di frontiera a Torino. Dove fatica e speranza camminano insieme
Cronache di frontiera. Via Guido Reni, dove la Torino storica s’aggrappa al futuro. Domenica di luce e Alpi bellissime. A ridosso di una chiesa, giovani, papà e mamme, dopo la Messa, preparano pranzo per chi non può. Tre volte al mese, per ora, ma cresceranno. Protagonisti i ragazzi, quelli della generazione schiaffeggiata dalla crisi e dalla società. Cucinano e sorridono, lo fanno nella 'città giardino', dove la fantasia dell’accoglienza (e della misericordia che Francesco chiede in Misericordia et misera) è già oltre. È la gioia dell’integrazione con tutti i nodi che comporta. Il carrello che raccoglie in fondo alla chiesa e, all’offertorio, è davanti all’altare, i rifugiati che dormono qui, i barboni di casa nostra.
Scorrono le auto tra i palazzi; il nuovo mondo fa i primi passi qui, nel sole freddino di primavera. I ragazzi giocano, gli adulti preparano. Più che una parrocchia, è una famiglia. «Bellissima», dice don Benito. Piccoli passi che tutti fanno mentre, dall’altra parte d’Italia, a Treviso, sorge un quartiere blindato, l’Ungheria vuole mettere in cella i migranti e l’Europa (come fa spesso) se ne lava le mani. Qui, invece, c’è aria di festa. Tutta gente che sa bene dei timori, delle paure, delle ansie provocate dai nuovi arrivi. Attorno ai tavoli uomini e donne, messi ai cancelli delle fabbriche dalla grande gelata, famiglie con e senza lavoro, con e senza drammi in casa, che aprono il cuore, con discrezione e sapienza.
Il tutto sembra, in questa giornata di Quaresima, una tenda aperta dove i viandanti si fermano. Ci sono italiani, marocchini, africani, siriani. Mangiano e parlano. È l’integrazione che prende forma proprio in una zona della città con tanti problemi.
Il sole è alto ormai; le campane accompagnano la presenza discreta di chi crede, di chi ha una fede, ma non l’ostenta, la vive. E c’è anche gente che non mette mai, o quasi, i piedi in una chiesa. Fantasia e misericordia. I ragazzi si sentono più grandi di quel che sono tra piatti, vino, acqua, pane. I rumors di Trump che riprova a bloccare l’immigrazione (e il suo provvedimento viene, per fortuna, di nuovo fermato), quelli di chi impone ai poveri di rovistare tra i rifiuti e l’Europa borderline si disintegrano sull’asfalto con troppe buche, consumato da altre ondate di arrivi. È impossibile fermare il cammino della disperazione e della speranza. Qui l’hanno capito: camminano insieme. Ci sono anche un bar ed un ristorante. Lo gestiscono i ragazzi che hanno coinvolto loro coetanei down o con qualche disabilità e figli di immigrati: lavorano gli uni accanto agli altri. Insomma è una fioritura di idee che ha i colori, il cuore, ma anche le intelligenze del mondo. È la risposta ai figli dell’Italia che nascono sempre meno, a coloro che vanno all’estero per pagare meno tasse, a chi evoca cani e bastoni, in Serbia, per spaventare gli involontari protagonisti dell’esodo biblico. Risposta pacata, originale, serena, bella come il tramonto che colora l’ultima neve di primavera sulle montagne delle Olimpiadi.