Don Gnocchi, la «sua» opera e il Covid. È soltanto la solidarietà che vaccina dal male
La memoria del beato don Carlo Gnocchi, morto a Milano il 28 febbraio di 65 anni fa, offre profondi spunti di riflessione in quest’anniversario deturpato dalla pandemia che investe il pianeta. «In questi momenti – ha scritto il Papa in Fratelli tutti – ci fa bene appellarci alla solidità che deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri, cercando un destino comune».
Ritrovo in queste parole la giusta prospettiva per ripensare a quanto ci è capitato e a come lo abbiamo affrontato. Un virus sconosciuto, subdolo e pericoloso ha colpito in modo drammatico l’umanità e in particolare le persone più fragili. I sistemi sanitari sono stati messi in ginocchio. Certa informazione si è rivelata più attenta all’audience che alla verità di quanto accadeva e tutto questo ha generato paura, rassegnazione e, infine, rabbia. Eppure l’unica parola che doveva essere detta e vissuta – solidarietà – è rimasta nell’ombra, relegata agli interventi di coraggiosi volontari e dei messaggi di personalità come papa Francesco e, va riconosciuto, il nostro Capo dello Stato, Sergio Mattarella.
L’opera di don Carlo, oggi Fondazione Don Gnocchi, si è trovata da subito in prima linea a fronteggiare un evento inimmaginabile con tutti i mezzi a sua disposizione. L’aver anticipato anche di alcune settimane gli interventi disposti dalle autorità non ha impedito in alcuni Centri l’ingresso del virus. Allora è iniziata una lotta durissima per salvaguardare la salute e la vita di ogni componente della nostra comunità, ospite, operatore, volontario: interpretazione e osservanza scrupolosa di norme e indicazioni delle autorità; ricerca incessante e senza badare a spese di dispositivi di protezione, lottando contro accaparramenti e sequestri; adeguamento continuo delle strutture per curare i nostri anziani e disabili non accolti, purtroppo, nelle strutture ospedaliere; collaborazione prestata alle realtà sanitarie locali, specie dove la situazione era più drammatica; energie spese per garantire un contatto fra ospiti e familiari pur nella carenza di personale; formazione continua e sostegno agli operatori rimasti convintamente al proprio posto. E, soprattutto, assistenza e accompagnamento, restando accanto fino all’ultimo a coloro che ci hanno lasciato, uomini e donne, non numeri, che conoscevamo bene e che erano parte della nostra famiglia.
Anche nei giorni più duri, l’intera Fondazione – dirigenti, personale sanitario e amministrativo – ha dato una prova coraggiosa di coerenza, ponendo al primo posto sempre e solo il servizio alla vita. L’emergenza purtroppo non è finita. Sappiamo che non dobbiamo abbassare la guardia. Sono però convinto che la prova più grande non è quella che abbiamo vissuto, ma quella di saper cogliere l’opportunità che questo dramma ci sta suggerendo: costruire un futuro diverso, che abbia la solidarietà come fondamento.
Il virus ha scoperchiato il velo su una verità profonda e troppo spesso taciuta: la nostra comune fragilità. L’umanità si è scoperta unita nella sua precarietà.
L’unico vero vaccino contro il male è la solidarietà. Quello che gli scienziati con il loro straordinario ingegno ci hanno offerto e ci offriranno è solo uno strumento che, da solo, non potrà cambiare il mondo. Ci aiuterà a sconfiggere un male, ma non il male. Povertà, diseguaglianze, ingiustizie, solitudine continueranno a essere presenti.
L’attualità del messaggio del beato don Gnocchi ci racconta proprio questo. Nessuno, nella prova, deve restare da solo. Perché Dio non abbandona nessuno. A chi sa cogliere il tutto nei frammenti della vita, quel mistero di amore si rivela ancora oggi presente in ogni cosa. Un amore che anche oggi non smette di muovere i cuori, di suscitare gesti piccoli o grandi di solidarietà e gratuità, di perseverare nel servizio agli altri, vincendo stanchezza e sconforto. Alla fede di don Gnocchi, al suo coraggio, alla sua determinazione nell’amare ci ispiriamo, per continuare a sperare un futuro diverso, che abbia la solidarietà come fondamento.
Vincenzo Barbante, sacerdote, è presidente della Fondazione Don Gnocchi