Il direttore risponde. Domenica, voci da ascoltare
Caro direttore,
le scrivo con il cuore in mano a nome mio e di tutte le mie colleghe: siamo commesse in uno dei negozi della galleria del Centro commerciale Setteponti, a cui si stanno aggiungendo commercianti e dipendenti della città di Arezzo per chiederle aiuto. Aiuto nel far sentire la nostra voce, visto che nessuno ha alzato una mano nei confronti di una categoria – le commesse – che con queste “liberalizzazioni” vedono il loro futuro solo all’interno del negozio. Il nostro non è un lamentarsi di lavorare troppo, non siamo sfaticate, ma lavoriamo 6 giorni su 7 e vorremo anche noi avere la possibilità di passare la domenica con i nostri cari, lavoriamo già 15 domeniche all’anno, ci sembra sufficiente.
Aiuto nel permetterci di avere una famiglia oggi e in futuro. Il nostro governo, con le nuove disposizioni in materia di liberalizzazioni degli orari, ha di fatto permesso l’apertura selvaggia di tutti gli esercizi commerciali. Di conseguenza noi, che siamo all’interno di un centro commerciale, siamo obbligati a seguire i loro orari senza poter esprimere neppure il nostro parere.
Sebbene consapevoli dei pro e dei contro nel lavorare in un centro commerciale, reputiamo ingiusta questa politica. Noi, oltre che lavorare con coscienza, contribuiamo a dare prestigio e successo a questo centro. La cosa che più ci indigna è che tutto questo non ci viene imposto dal nostro titolare, ma da una grande cooperativa che da sempre fa suoi gli slogan in favore delle famiglie (evidentemente quelle che spendono, non quelle che ci lavorano). Per noi avere una famiglia o una vita sociale è diventato un miraggio: già gli orari fino alle 21 non sono facili da gestire, ci era rimasta la domenica da dedicare ai nostri cari, e al riposo, come dice anche Nostro Signore. Adesso, se le cose continueranno così, sarà impossibile.
D’altro canto capiamo anche i nostri datori di lavoro, che non possono fare molto per cambiare le cose. Di assumere purtroppo in questi tempi di crisi non se ne può neppure parlare: troppe sono le spese ed esigui gli incassi.
Io capisco anche il presidente del Consiglio quando dice che dobbiamo riformare la nostra economia; ma non credo che spalmare gli incassi su 7 giorni invece che su 6 porti un aumento della ricchezza, visto il momento difficile.
Mettere a disposizione dei clienti la domenica comporta non un aumento delle entrate per gli esercizi commerciali, ma solo spese extra.
In questo momento così difficile, chi ci governa invece di aiutare le famiglie sembra che le abbia dimenticate: non sentiamo più parlare di politiche per le famiglie, ma solo di tasse e sacrifici, che immancabilmente vengono richiesti a chi ha sempre pagato le tasse, i lavoratori dipendenti e i commercianti onesti, che comunque sono la maggioranza.
Ci sentiamo ripetere che tutti dobbiamo fare sacrifici, e ci sta bene, ma non è giusto toglierci l’unico giorno che possiamo stare tutti in famiglia, tra orari impossibili durante la settimana è difficile addirittura ritrovarsi insieme a pranzo e cena.
Purtroppo da 2 mesi le nostre vite sono cambiate: chi ha figli piccoli e li manda all’asilo la mattina, quando magari sarebbe libero dal lavoro, li può rivedere solo la sera dopo le 21 perché il pomeriggio lavora, ma sono sacrifici che facciamo tutti in modo o nell’altro, e li facciamo senza lamentarci, ma quando è troppo è troppo.
Noi abbiamo meno diritti di avere una famiglia degli altri? E i sindacati dove sono? Perché i tassisti sono stati ascoltati e hanno ottenuto quello che volevano e noi no? Non veniamo nemmeno considerati.
La domenica da sempre è il giorno dedicato alla famiglia, per stare insieme a chi si ama, lontano dallo stress e dalla frenesia degli altri sei giorni della settimana.
Si dice che i figli vengono educati dai genitori, e che se poi cresceranno scellerati è colpa di che li ha cresciuti, be’, se le cose continueranno così non solo si rischierà che non vengano più messi al mondo figli, ma quei pochi che lo faranno, li affideranno a baby–sitter, perché gli asili chiudono alle 17 (sempre se ti puoi permettere di pagarli) e verranno educati dalla televisione. I genitori per farsi perdonare dai figli cercheranno di comprare il loro affetto con regali: quali valori potremo insegnargli, quelli del consumismo e della corsa all’incasso?
Io sono cresciuta con dei valori: quando sono nata mio padre ha voluto che mia madre smettesse di lavorare. Negli anni 80 era ancora possibile, facevamo sacrifici, niente vacanze, poche volte andavamo in pizzeria, la domenica andavamo a Messa insieme, a pescare all’Arno, a fare una gita nei dintorni, tutti insieme, sempre.
Non navigavamo nell’oro, ma mai mi è mancato l’affetto. Durante la settimana, mio padre me lo ricordo sempre a lavorare. Ma mi spiegavano che il babbo doveva farlo per noi e, poi, la presenza di mia madre c’era sempre. Pensa che mia figlia potrà dire la stessa cosa? Potremo continuare con il dire che finora c’erano i nonni che aiutavano nell’educazione dei nipoti, ma adesso con l’aumento dell’età pensionabile è ancora più difficile.
Detto questo, spero potrà aiutarci in qualche modo, non chiediamo la luna, vogliamo solo avere un futuro, non solo al lavoro ma anche nella famiglia e nella società civile. Mi scusi per il mio modo di esprimermi, forse un po’ troppo accalorato. La saluto, la ringrazio e spero almeno in una risposta.
Sara Landucci, Arezzo
La mia risposta, cara signora Landucci, è «accalorata» come la sua domanda. Del resto, gli amici lettori sanno bene con quanta intensità abbiamo cercato e cerchiamo di sostenere il buon diritto di tutti e di ciascuno alla domenica, «giorno di Dio e della comunità», come dice Papa Benedetto XVI, e tempo della famiglia e del riposo. Ma lei – da madre, moglie e lavoratrice – è anche logica e lucida nelle argomentazioni che propone e davvero saggia nel ricordare ciò che i suoi genitori le hanno insegnato e fatto vivere.
Credo che la voce sua e delle sue colleghe meriti di essere ascoltata e credo che un ripensamento sulla «occupazione» di tutte le domeniche di chi lavora nel settore del commercio sia indispensabile. Una legge che consente ciò che non è giusto va cambiata, ma intanto si può rinunciare ad applicarla. E si può farlo subito.