Il direttore risponde. Domande utili e parole-sprone per politica da cattolici (e no)
Gentile direttore,
ho letto con interesse il doppio intervento del vescovo emerito di Prato. Ammiro il coraggio e la chiarezza con cui monsignor Simoni propone il nodo della presenza e dell’azione politica dei cattolici, un tema a mio avviso necessario, ma credo ancora “vietato”, dopo che caduti i veti ideologici – come si diceva all’epoca – è stata archiviata la stagione del partito di ispirazione cristiana. Bisognerebbe ripartire dalle istanze di allora, riascoltare le ragioni di quel travaglio che per alcuni fu di emancipazione e di incontro con altri mondi politici, ma per altri – come il sottoscritto – fu una lacerazione non necessaria, e chiedersi se ne valse la pena. È strano il nostro tempo nel quale nella nostra Chiesa si fa dell’«unità» il criterio valido per tutto tranne che per la presenza e l’azione dei cattolici in politica. Sul tema potrebbe servire qualche domanda. 1) Il cristiano che fa politica deve leggere il catechismo o i segni dei tempi? Se il primo sappiamo cosa sia, i secondi chi li decide? 2) È ancora lecito definirsi cristiani e basta, senza alcun aggettivo come progressista o conservatore? La ringrazio.
Caro direttore,
mi pare che la gente normale si sia stancata di ascoltare le giornaliere dichiarazioni di politici sulle varie cordate per vincere le elezioni. La domanda più semplice è: ma sanno cosa andranno a fare? Sanno quali problemi dovranno affrontare e con quali persone risolverli ? Troppe volte in questi ultimi anni sentiamo delle lamentele di sindaci o governatori per quello che hanno trovato di non funzionante e che ora loro nuovi amministratori non sanno far andare meglio. Ma non si erano informati prima su cosa avrebbero trovato? Sarebbe bene che prima di parlare di elezioni, di cordate e di spartizioni di posti cominciassero a vedere cosa ci sia da fare in concreto e poi proporsi agli elettori con le persone giuste. I cittadini attendono persone che amministrino bene e non individui ambiziosi o solo soddisfatti di aver battuto l’avversario. Un cordiale saluto e teneteci sempre informati con il vostro professionale equilibrio.
Mi piacciono queste due lettere, diverse eppure segnate entrambe da una piccola raffica di domande scomode. Credo che valga la pena di farle risuonare e di ascoltarle davvero. È un esercizio che a me, cronista, è sempre stato utile, continuo a sperare che lo sia (o lo diventi) anche per chi sta “in politica”. Perché, come scrive il signor Ferrari, noi cittadini cerchiamo «persone che amministrino bene» e non «ambiziosi» parolai, litigiosi e inconcludenti. Cerchiamo, cioè, persone capaci di tutta l’unità e della volontà di dialogo necessari. Né unità né dialogo, però, possono essere fini a se stessi, ma essere fattivi e fattivi di bene. Tutto ciò dovrebbe essere specialmente chiaro a chi vuol fare politica da cattolico. E che, a mio parere, non può essere un uomo sospeso tra il tesoro che possiede (la sua fede) e il compito che è chiamato ad assolvere (rendere più giusto e umano il mondo): voglio dire che il Catechismo non è una benda sugli occhi che impedisce di leggere i “segni dei tempi” anzi è l’esatto contrario: è un sostegno in questa fatica buona che il Concilio Vaticano II ci chiede di compiere nella Chiesa e nella società. Quanto all’essere «cristiani e basta», come auspica il signor Bertè, è un’idea che cerco di condividere da una vita. E nonostante peccati, difficoltà, errori e incomprensioni cerco di realizzarla. La parola del Papa mi aiuta a non scoraggiarmi.