Opinioni

Lotta alla disoccupazione. Lavoro: meno burocrazia, ma politiche economiche

Francesco Riccardi giovedì 31 luglio 2014
Due indizi non fanno una prova. E così pure l’aumento-bis degli occupati a giugno - più 50mila, dopo l’analogo incremento registrato a maggio - non sono la prova della ripresa dell’occupazione. Sono un segnale positivo, questo sì, che va colto per quanto dice, senza sopravvalutarne la portata. Oltre centomila posti di lavoro recuperati in un bimestre sono una buona notizia perché indicano che qualcosa comunque si muove nel nostro stagnante mercato del lavoro e che non stiamo solo affondando nelle sabbie mobili. Ma sono piccole correnti di risalita, dovute più che altro a due fattori. Il primo propriamente stagionale. Nella tarda primavera e inizio estate il numero degli occupati cresce sempre per effetto delle assunzioni stagionali nei servizi e nel turismo. E infatti se si guarda ai dati su base annua ci si accorge che oggi siamo agli stessi livelli dell’estate 2013. Il secondo fattore è invece maggiormente interessante e riguarda il fatto che - probabilmente, perché le rilevazioni mensili sull’occupazione non sono particolareggiate e non ci danno quindi una certezza statistica al riguardo - buona parte di questi 50mila occupati in più sono stati assunti a termine. Un primo effetto della liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, decisa con il decreto Poletti approvato a maggio. La prima riforma del lavoro del governo Renzi sembra quindi aver funzionato da lubrificante, facendo sì che i pistoni dell’occupazione girassero meglio. Ma il motore, non bisogna dimenticarlo, resta arrugginito da regole vecchie, appesantito da molti costi e purtroppo con sempre meno benzina ad alimentarlo, stante il bassissimo livello dei consumi interni, la produzione industriale ferma e il Pil appena sopra lo zero. Occorre allora accelerare la riforma del lavoro, per togliere le incrostazioni burocratiche ma contemporaneamente avviare politiche economiche che alimentino la ripresa, senza la quale, da sola, anche la migliore regolamentazione possibile non è in grado di far ripartire davvero le assunzioni. D’altrocanto questo era la premessa stessa del Jobs Act originariamente presentato da Matteo Renzi. Ma tra tagliole e canguri se ne sono perse le tracce.