Il direttore risponde. Se la «disinformazione» del dolore si dimentica dei pirati di tutti i giorni
Gentile direttore,
finalmente un giornale che mette in risalto lo sciacallaggio sul dolore dei parenti di vittime di omicidi o fatti di cronaca nera in trasmissioni di tv generaliste. Sono spettacoli veramente disgustosi. Ma quello che è peggio è che anche i telegiornali (quasi tutti, escluso quello de la 7) lo fanno. Dei pirati delle strade invece non si parla mai. La situazione, per lo meno per la mia sensibilità, è insopportabile. Il numero di vittime della strada è enorme (da 3.000 a 5.000 l’anno), sembra una guerra; famiglie rovinate per sempre e nella maggior parte dei casi a causa dell’alta velocità che dà ebbrezza a persone prive di scrupoli, che non esitano a mettere in pericolo coscientemente la vita di ragazzi, padri e madri di famiglia solo per provare questa emozione o perché cercano in questo modo di affermare il proprio io frustrato. Le pene per questi colpevoli non ci sono, continuano a girare indisturbati con le loro auto mettendo in pericolo altre vite (ne so qualcosa perché mio padre morì in un incidente stradale proprio a causa di uno di questi "pirati"). Si parla da anni dell’introduzione del reato di "omicidio stradale", ma solo sull’onda dell’emozione di qualche strage del momento, poi il discorso anche dai media viene abbandonato. Posso testimoniare personalmente, come tanti, che le distanze di sicurezza tra veicoli non vengono più rispettate, forse non le insegnano più neanche nelle autoscuole; guardare nello specchietto retrovisore ormai incute terrore perché si vede incollato al retro della propria auto un altro veicolo pronto a scattare in un sorpasso spesso azzardato, incurante di curve, limiti di velocità e altri divieti. Siamo arrivati al punto che chi rispetta il codice della strada, soprattutto i segnali con il limite di velocità, è considerato uno stupido. Le racconto un fatto che può sembrare una barzelletta. Sono stata tamponata in un centro urbano con il limite dei 50 chilometri orari, perché ho rallentato nel timore di investire un pedone anziano che camminava a bordo strada e che perdeva ogni tanto l’equilibrio: ho temuto che sbandando finisse nella mia carreggiata. Ho fatto presente al conducente dell’auto che mi ha tamponato il motivo del rallentamento e poi ho detto che lì comunque c’era un limite di velocità (lui era sopraggiunto velocemente dietro di me, non rispettando la distanza di sicurezza). La risposta è stata: «Appunto, il limite è 50, ma lei andava a 40, quindi ha torto». Incredibile, ma vero. Per questo credo che occorrerebbe, da parte dei media, una grande opera di sensibilizzazione su questi temi, che parta proprio dalla riflessione sul fatto che l’automobile non deve diventare un "idolo" ma è solo un mezzo di trasporto in grado però di diventare un’arma capace di uccidere. Mi auguro che "Avvenire", più sensibile di altri ad argomenti che reputo importanti, la faccia. Cordiali saluti
Marina Capri