Ma l’Occidente non ci riuscirà da solo. Disarmare Putin si può
Facciamo tutti fatica a capire la natura della guerra nell’epoca dell’interdipendenza globale. Ma se non vogliamo farci trascinare dal gorgo scatenato dall’aggressione di Vladimir Putin servono lucidità e lungimiranza. L’Ucraina, dove ogni giorno hanno luogo i massacri orribili che vediamo in tv, è solo la scena più drammatica ed evidente. Ma non è l’unica. Ce ne sono altre, altrettanto importanti, su cui il conflitto si gioca.
A leggere le dichiarazioni del leader russo e le interviste rilasciate dai suoi principali consiglieri, si deduce che dietro all’invasione si nasconde quel disegno più ambizioso su cui su queste pagine si continua a ragionare: quello di mettere in discussione l’ordine liberale globale venutosi a creare col 1989 della caduta del Muro. Putin ha vissuto quel passaggio storico da giovane dirigente del Kgb. E vuole passare alla storia come colui che è riuscito a ribaltare quell’assetto da cui la Russia postsovietica uscì umiliata e sconfitta. E questo perché è convinto che l’Occidente sia ormai spiritualmente spento e dominato dal solo interesse economico.
La fine ingloriosa della missione in Afghanistan è l’evento simbolico che certifica il declino dello strapotere americano. Attaccando l’Ucraina, egli sapeva bene che le tensioni si sarebbero riversate sul gas e le altre materie prime essenziali per la crescita globale. E poiché la dipendenza degli Stati europei dalla Russia non è omogenea – Germania e Italia sono i due Paesi più dipendenti – Putin conta di riuscire a incrinare la solidarietà Nato e Ue, che in queste prime settimane è apparsa solida. Passando il tempo, il costo economico e sociale della guerra in Europa comincerà a pesare sempre di più su tutti, non solo a Mosca. Putin è convinto che il mondo sia pronto a ridefinire le alleanze a livello planetario.
Per questo è andato a Pechino per l’inaugurazione delle Olimpiadi, cercando di blindare un’ambigua alleanza con la Cina. Per questo, mentre bombarda, ha mandato Lavrov, il suo navigato ministro degli Esteri, in India e continua ad avere buoni rapporti con il Sudafrica e il Messico, parla e s’intende con Bolsonaro, con Erdogan (che pure resta nel campo Nato) e con l’ungherese Orbán, tutti leader con una fede democratica assai dubbia. L’obiettivo strategico è quello di capovolgere i rapporti di forza con l’Occidente, costituendo un fronte tra i Paesi che vogliano ribellarsi all’ordine internazionale sorto nel post-89.
A tutto ciò si deve, poi, aggiungere l’effetto che la guerra rischia di causare su vaste aree dell’Africa e dell’Asia. A causa della scarsità di grano (di cui Ucraina e Russia sono i principali esportatori mondiali), la Fao ha già previsto gravi problemi alimentari per decine di milioni di persone. Con effetti prevedibili anche in termini di emigrazione forzata. Scarsità energetica, crisi alimentare, pressione migratoria sono fattori destinati a far traballare molti regimi politici in giro per il mondo. Ed è difficile pensare che ciò rafforzi le democrazie.
La conquista dell’Ucraina e la divisione in due Stati è sicuramente un obiettivo fondamentale dell’azione di Putin. Ma non è la sola questione in ballo. Per questo ha ragione chi prevede che questa nuova e terribile fase della guerra ucrainorussa è destinata a durare a lungo e siamo ben lontani dal riuscire a costruire la via d’uscita. Quello che è importante capire è che non si può separare ciò che accade in Ucraina da questi effetti strutturali. Per questo non basta sostenere la resistenza.
Si deve accelerare almeno su altri tre fronti. Il primo è quello energetico. Durante il Covid abbiamo accorciato i tempi per la messa a punto del vaccino: un processo che di solito impiega anni è stato realizzato in pochi mesi. È necessario uno sforzo simile per raggiungere l’autonomia energetica e realizzarla nel modo più sostenibile. L’accelerazione deve essere massima: i 2-3 anni di cui si parla sono troppi. In secondo luogo, è necessaria un’azione diplomatica più incisiva, convinta, globale. L’Occidente non deve fare l’errore di pensare il mondo dalla sua parte.
La situazione creata da Putin è tale per cui nessuno regala niente a nessuno. La Cina, in particolare, si muove con cautela e pensa ai propri interessi strategici. Vuole uscire più forte da questa crisi. In queste settimane ha confermato l’alleanza con la Russia, ma al tempo stesso è allarmata che il gioco scappi di mano. Il dialogo con Pechino è fondamentale anche se molto difficile e delicato. E la stessa cosa vale per Messico, Brasile, India, Pakistan, Turchia e Sudafrica. Infine, bisogna rafforzare la cooperazione internazionale. I Paesi più poveri sono esposti al rischio di una crisi senza precedenti. Per questo si deve organizzare subito un’azione di sostegno alimentare, per evitare che l’ipotesi della destabilizzazione apra voragini che nessuno sarà poi in grado di gestire. Per affrontare la crisi in corso non è sufficiente concentrarsi sull’aspetto militare.
Occorre assumere la complessità degli effetti che si producono in un mondo interdipendente. E affrontare i diversi nodi con intelligenza lungimirante, senza recedere per un attimo da un punto cardinale: la pace è il bene comune globale da perseguire a tutti i costi. È infatti proprio questo l’errore di fondo nel diabolico disegno di Putin: per la via bellica, nessuno vincerà. Tutti perderanno. L’umanità perderà. È questo è il vero argomento da sostenere per disarmare l’aggressore. E l’Occidente non può riuscirci da solo.