Opinioni

La buona notizia: più adozioni di bimbi disabili. Quei piccoli «imperfetti» che sbocciano come fiori

Lucia Bellaspiga venerdì 14 gennaio 2011
Più quattordici per cento in un solo anno. Non parliamo di titoli in Borsa o proiezioni partitiche, parliamo di famiglie italiane che hanno adottato un bambino straniero con seri problemi di handicap. E allora il balzo è esponenziale, di quelli che oggi dovrebbero riempire le prime pagine di tutti i giornali: erano 561 nel 2009, sono stati 639 nell’anno appena trascorso. Eccola allora la bella notizia, quella che secondo il cinismo mediatico non varrebbe la pena raccontare good news no news, de la notizia è buoma, non è una notizia...), e invece soffermiamoci sulle parole fino a renderle concrete, sillabiamole lentamente fino a vedere sotto i nostri occhi la realtà mentre accade: non una, non dieci, ma seicentotrentanove coppie di giovani italiani hanno chiesto, consapevolmente, di diventare genitori di bambini disabili venuti da lontano, piccoli sconosciuti e "imperfetti" – come li considererebbe parte della mentalità corrente – semplicemente da crescere e amare. Li chiamano "minori special needs", e nel linguaggio quotidiano che d’ora in poi scandirà i giorni e le notti di queste famiglie significa spina bifida, o fibrosi cistica, o uno dei tanti nomi impronunciabili delle cosiddette malattie rare. O invece, nei casi meno gravi, la semplice mutilazione di un arto, un difetto alla vista o la sordità, lievi ritardi mentali, anche solo un labbro leporino o un altro di quei problemi che qui da noi sono facilmente risolvibili.Sono ancora i numeri a parlare (dati della Commissione per le adozioni internazionali presso la presidenza del Consiglio): di 639 minori difficili adottati da italiani, 537 presentano «disabilità lievi o reversibili», mentre 80 soffrono di «patologie gravi o insanabili». E ci sono in coda 22 bambini nati con «bisogni speciali e particolari», ovvero i più sfortunati di tutti, quelli che in poche spanne di corpicino sopportano entrambe le condizioni: disabilità lievi e reversibili, insieme a patologie gravi o insanabili. Torna in mente il consiglio di don Oreste Benzi: «Il vostro domicilio sia tra i più bisognosi. E, tra i più bisognosi, siate tra i più bisognosi ancora: là in fondo». È laggiù che qualcuno è andato a cercare quei piccoli, per nulla spaventato.Giovani coppie in controtendenza, dunque, in un’Italia (e in un’Europa) sempre più stravolta dai venti eugenetici che spirano dal nord e già lambiscono le nostre regioni. «La salute oggi ha assunto una nuova dimensione», ha proclamato la Corte di Cassazione il 16 ottobre 2007, spiegando addirittura che ormai non va più intesa «come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico».Perfezione assoluta, dunque, delirio lontano da ogni realtà. Eppure, per centinaia di giovani madri e padri, che alle sentenze di certi giudici preferiscono ancora le leggi non scritte del cuore e della civiltà, quella imperfezione è stata richiamo irresistibile. E ci appaiono quasi eroi anche coloro che hanno accolto "solo" i disabili lievi e reversibili, se negli stessi giorni del 2010 a Rossano Calabro una madre decideva di abortire il figlio perché affetto da labbro leporino, fastidio che si corregge con intervento ambulatoriale. Angelo (così lo chiamammo all’epoca su Avvenire, e da allora non siamo più riusciti a dimenticarlo) era già alla ventiduesima settimana, quando cioè la legge 194 vieta l’interruzione di gravidanza a meno che questa non comporti un «grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna». Eppure, ci fu un medico che non esitò a classificare quel labbro venuto male come un pericolo per sua madre. Angelo, dopo l’aborto, fu dimenticato in un catino di metallo sotto a uno straccio, dove 24 ore dopo lo trovò, in vita e piangente, un sacerdote, ma ormai era tardi.Lui rifiutato perché imperfetto, ma centinaia di altri bambini come Angelo, e molto più gravi di lui, sono scelti perché svantaggiati, in virtù di quell’handicap che quindi diventa valore aggiunto d’amore. Adottati spesso da coppie che hanno già messo al mondo figli propri, e sani, non per sanare un vuoto quindi, ma per colmare ulteriormente un amore già ricolmo.I risultati li raccontava bene padre Alceste Piergiovanni, missionario dell’ordine della Madre di Dio, mezzo secolo passato in Cile e migliaia di bambini mandati in adozione in Italia, dalle Ande agli Appennini: «Erano stati dichiarati, dai cosiddetti specialisti, irrecuperabili, senza speranza, ritardati, affetti da malattie incurabili. Li ho visti crescere sani e forti, alcuni di loro hanno riacquistato la vista, altri hanno ripreso a parlare, altri ancora sono diventati eccellenti studenti». Nessun miracolo, beninteso: «Sono stati adottati e li ho visti sbocciare come fiori in primavera».