Opinioni

Il direttore risponde. Chi sono i veri retrogradi?

sabato 13 novembre 2010
Caro direttore,«nel privato faccio quello che voglio e non debbo rendere conto a nessuno». È il pensiero di molti, propugnato e giustificato con conversazioni, scritti e trasmissioni televisive in questi giorni. Come cattolico credo che dovrei pensare che la linea morale sia un’altra, pur ammettendo gradi diversi di colpa (il politico che fa male a molti, o che "commette peccato", anche per divertimento, con una cerchia ristretta di persone: i cosiddetti "fatti suoi"). Neppure sono esente quando compio azioni personali contro natura o contro la morale. Anche se sono potente, non mi è permesso adattare la morale al mio stile di vita: sia pure con sollecitazioni o situazioni diverse sono in tutto questo uguale (non più uguale) agli altri.Gli esempi della storia, specie da parte di regnanti, sono molteplici e la Chiesa cattolica, interpretando giustamente la dimensione morale, non ha mai dato il suo assenso o l’assoluzione ben sapendo che dal diniego sarebbe scaturita una clamorosa dissociazione di fedeli, che come avvenne in Inghilterra, avrebbero seguito il loro re. Altri tempi, si potrebbe dire, ma oggi non succede lo stesso? Anzi, qualcuno che si professa profondamente cattolico osservante, anche in dibattiti televisivi, con pretestuose argomentazioni sostiene che l’errore accertato del potente va ridimensionato e giudicato fuori dall’ottica tradizionale.Questo parlare e difendere una simile tesi conquista simpatizzanti e prepara forse involontariamente la strada a vere e proprie separazioni nella Chiesa. Mi sembra una situazione particolarmente italiana, ma che suscita tanti commenti anche all’estero. E a volte mi sembra di essere, io, "rimasto indietro" al catechismo delle elementari con qualche spolveratina delle omelie domenicali da cui ero, e sono, ancora persuaso che non solo lo scandalo (il male) sociale, ma anche quello riservato personale è sempre da riconoscere ed emendare perché reca danno a tutti. Si è molto insegnato che nessun uomo è un’isola e oggi sarebbe bene aggiungere che tutti partecipiamo al Corpo mistico della Chiesa.

Alessandro Olivieri, Verona

Grazie per la sua intensa riflessione, caro Olivieri. Lei non mi pare proprio «rimasto indietro», anzi, è più lucidamente avanti di certi commentatori più o meno d’occasione che vanno per la maggiore. Aggiungerei solo che l’«errore accertato» ma spesso ridimensionato o addirittura difeso a spada tratta non è solo l’errore di questo o quel «potente», ma anche l’errore commesso da chiunque viene giudicato in linea con lo spirito dei tempi dalla solita e insindacabile giuria del «politicamente corretto». Ma, come ci ha ricordato lunedì scorso il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, «se (...) i credenti conoscono solo le parole del mondo, e non dispongono di parole diverse e coerenti, verranno omologati alla cultura dominante, o ritenuta tale, e finiranno per essere anche culturalmente irrilevanti». Un’ultima annotazione: quella che lei segnala, purtroppo, non è una situazione particolare della sola Italia, ma certamente nel nostro Paese c’è chi si impegna a proporla con sconfortante continuità non solo al livello (niente affatto formale) degli “stili” pubblici o privati, ma anche sui temi che attengono ai valori essenziali e fondativi della vita umana e della famiglia. Ecco perché lo sforzo di carità e di comprensione verso tutti, per i cristiani non può mai essere disgiunto da un lungimirante impegno di chiarezza – e per la chiarezza – a proposito di ciò che vale davvero. (mt)