editoriale. Diritto del lavoro, quando si dice «semplificazione»...
Tutto facile dunque per un leader come Matteo Renzi che, su un tema di larghissimo consenso, si presenta come l’uomo giusto al momento giusto? Apparentemente sì come dimostra il canale di comunicazione privilegiato che è subito riuscito ad attivare, una volta eletto segretario del Pd, con il più ostico dei sindacati Italiani: quella Fiom di Maurizio Landini che sin qui, a detta di molti, ha rappresentato il vero fronte di conservazione nel travagliato processo di modernizzazione del nostro mercato del lavoro. Una mossa questa che non poco ha sorpreso e spiazzato quanti hanno seguito da vicino la più recente evoluzione del nostro sistema di relazioni industriali a livello aziendale. Come non ricordare, in proposito, lo sforzo di modernizzazione del modo di fare impresa in Italia di Sergio Marchionne che ha lungamente "flirtato" con Landini, snobbando inizialmente Cisl e Uil, prima di decidere che era solo tempo perso e che solo dalla rottamazione della Fiom, per usare un linguaggio caro a Renzi, avrebbe potuto nascere il progetto "Fabbrica Italia".Qualche dubbio è dunque lecito avanzare. Non tanto e non solo sulle tempistiche ipotizzate da Renzi che, invero, appaiono a dir poco ottimistiche. Non esistono stime ufficiali. E già questo la dice lunga su quanto sia complicato semplificare leggi e decreti sparsi nelle pieghe dell’ordinamento giuridico e che neppure gli esperti conoscono nella loro interezza. Secondo valutazioni approssimative del centro studi Adapt, che ha avviato un primissimo monitoraggio, si tratterebbe di mettere mano a circa 1.000 atti normativi che incidono, direttamente o indirettamente, sulla regolazione dei rapporti di lavoro per un numero approssimativo di oltre 15.000 precetti. L’estrema difficoltà del tema sta, piuttosto, nel fatto che in una materia complessa come quella del lavoro il processo di semplificazione non può essere affrontato con soluzioni semplicistiche pensate a tavolino da un manipolo più o meno qualificato di tecnocrati. Procedere in questa direzione, con l’ennesimo testo di legge calato dall’alto, non avrebbe altro effetto che comprimere ulteriormente il dinamismo e la multiforme realtà di un mercato del lavoro in continua evoluzione.
Il punto non è, a ben vedere, la quantità delle norme, quanto la loro qualità ed esigibilità. Per questa ragione un processo di vera semplificazione non potrà mai essere condotto in termini dirigisti e formalistici. Fondamentale semmai è il pieno e convinto coinvolgimento di tutti gli attori sociali, in chiave sussidiaria e pluralista, perché plurali e profondamente differenziati sono i contesti produttivi, i territori e i mercati del lavoro da regolare. Un esercizio questo che richiede non solo tempo, ma anche capacità di ascolto e mediazione e un forte rinvio alla contrattazione collettiva. La maggioranza di cui dispone Renzi è del resto quella del Governo Letta che, in sei mesi di estenuanti trattative, non è ancora riuscito a chiudere la partita, apparentemente semplice, sul contratto a termine per Expo 2015. Ciò a conferma della estrema difficoltà di scrivere norme sostenute da un largo consenso che è poi la vera premessa per disporre di norme effettive e realmente esigibili nella realtà dei contesti produttivi.
Non esistono alternative e cercare più o meno comode scorciatoie può essere molto pericoloso. Una di questa pare, a ben vedere, la ipotizzata intesa tra Landini e Renzi sulla legge in materia di rappresentanza sindacale. Tornare al monopolio legale della rappresentanza, affidata in via maggioritaria a un solo sindacato come avveniva in epoca corporativa, sarebbe in effetti una clamorosa sconfessione di quel metodo sussidiario che crede nel pluralismo e che esclude ogni tentativo di demolizione del sindacato quale passo obbligato per avviare la tanto attesa modernizzazione dei rapporto di lavoro. E lo sarebbe in primis per quello stesso sindacato che, nel chiedere oggi una legge sulla rappresentanza, dimentica le lezioni della storia e l’esperienza di altri Paesi. Nel fare esplodere le contraddizioni all’interno del mondo sindacale, una legge sindacale potrebbe in effetti diventare quel comodo grimaldello utile per avviare non tanto un processo di semplificazione quanto una vera e propria deregolazione del mercato del lavoro e con essa la rottamazione dello stesso sindacato.