Il direttore risponde. I «diritti civili» dei parenti stretti
Gentile direttore,
sono un’assidua lettrice del suo giornale, ne condivido il tono pacato e l’attenzione puntuale con i quali affronta i problemi più diversi e vorrei esporle un’idea che mi insegue e mi ha spinto a scriverle. Nella campagna elettorale appena conclusa si è parlato con insistenza di omosessuali, diritti sì diritti no, matrimoni sì matrimoni no... E allora mi sono chiesta: se in una coppia omosessuale uno dei due viene a mancare, ci si preoccupa di cosa succederà all’altro e si cerca di garantirgli sicurezza giuridica ed economica. Detto così può sembrare giusto, civile, moderno, ma io mi sono domandata: perché una persona che dedica (non dico "sacrifica"), la propria vita per assistere un genitore o un fratello malato, magari per decenni, alla morte del proprio caro deve rimanere senza alcun aiuto a meno che non sia ella stessa invalida? Forse c’è una gerarchia che pone gli omosessuali al di sopra dei parenti di ammalati? Che cosa giustificherebbe questa incredibile discriminazione, forse la nostra Costituzione? È questa la modernità?
Assunta BidelloNo di certo, gentile signora Bidello, la nostra Costituzione non giustificherebbe in alcun modo una discriminazione a favore di persone dello stesso sesso e a danno di parenti stretti. Il problema che lei pone è uno dei più seri riguardo alla regolazione delle convivenze che sono oggettivamente diverse da quella matrimoniale. Che come noto riguarda il rapporto legale tra un uomo e una donna, naturalmente aperto alla vita e decisivo per il futuro di una società umana. Chi vive insieme e si sostiene a vicenda – per i motivi più diversi: parentela, amicizia, amore... – ma non realizza un rapporto matrimoniale può veder ragionevolmente regolati i rapporti patrimoniali che derivano da questa condizione, e sarebbe ingiusto e illogico escludere dal riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti i familiari più stretti. Per quel che vale, questo è il mio parere. E so che non è solo il mio.