Un augurio per l'anno che è in arrivo: sempre più solidali e meno evasori
Caro direttore,
il tema dell’evasione fiscale è molto delicato ed è stato, ed è tuttora, oggetto di continue discussioni. Anche se (quasi) ogni Governo si pone l’obiettivo di combattere questa piaga che affligge il nostro Paese, ogni giorno si scopre che l’elenco degli evasori si allunga. Cantanti, manager di grandi aziende, attori e sportivi: non si contano più ormai i personaggi famosi che finiscono nel mirino degli 007 dell’Agenzia delle Entrate. Evadere le tasse è diventato un malcostume nazionale. Sembra prevalere la legge del più furbo. Pagare le imposte è un dovere etico-morale per tutti i cittadini, specialmente per i vip che pare, nonostante la crisi, non siano stati colpiti nei loro guadagni stellari. Le imposte servono per avere tanti servizi. Se tutti versassero il dovuto, si pagherebbe di meno e si avrebbero più risorse per avere servizi migliori. Ne trarrebbero enormi vantaggi i cittadini, la nazione e la società. È importante pertanto diffondere la cultura della legalità e della trasparenza. Facciamo prevalere, sempre e ovunque, il principio della lealtà e probità, più che quello della fraudolenza, dell’egoismo e della venalità.
Franco Petraglia
Gentile direttore,
non sempre quando dialogano coi giovanissimi, le più alte cariche dello Stato riescono a dare il meglio di sé. Lunedì 9 dicembre, per esempio il nostro Presidente della Repubblica ha usato toni e termini perentori nei riguardi degli evasori, ma non sono affatto sicuro che si sia trattato di una risposta a tono con la domanda che gli era stata posta dal suo giovanissimo interlocutore. Sergio Mattarella è un cattolico fervente e praticante, ho ottimi motivi per ritenere che abbia anche una buona conoscenza dei Vangeli. Ebbene nei Vangeli la risposta alla domanda “perché da noi è così difficile sconfiggere l’evasione fiscale?” c’è eccome, e a darcela è Gesù in persona, con la Sua Parola e con il suo atteggiamento verso chi le tasse le riscuote e verso chi le tasse le paga, verso chi il pagamento delle tasse lo ritiene un obbligo assoluto, e verso chi lo considera una resa alla tirannia, alla prevaricazione alla prepotenza. Prendiamo esempio dal Gesù se vogliamo risolvere i problemi fiscali, quelli provocati dagli evasori e quelli provocati da chi impone canoni, tariffe, rendite catastali, aliquote e parametri vari troppo lontani dalla ragionevolezza, dall’equità, dalla razionalità. La nostra Costituzione parla abbastanza chiaro riguardo a come, quanto e da chi devono essere pagate le tasse e i nostri uomini politici devono essere in grado di distinguere le tasse e le multe giuste dai balzelli iniqui, dalle contravvenzionifici e, almeno quelli che si definiscono cattolici o militano in partiti cattolici dovrebbero, come Gesù, favorire l’incontro, il dialogo, la riconciliazione (che è cosa ben diversa dal “Che fa, concilia?”) tra le parti.
Domenico Rondina
Caro direttore,
nel mai abbastanza elogiato “Gesù di Nazareth”, il grande Zeffirelli a un certo punto fa vedere che Pietro il pescatore e Matteo, l’esattore, da nemici diventano amici, e questo grazie a Gesù, che li affascina entrambi e li fa incontrare, sedere allo stesso tavolo ed entrare in sintonia. Nel Vangelo di Luca un altro esattore, anzi il capo degli esattori – o pubblicani che dir si voglia – Zaccheo di Gerico, diventa amico di Gesù – quindi anche degli amici di Gesù – e cambia radicalmente il modo di concepire la sua attività, riconoscendo che tra regole fiscali e moralità fiscale c’è una bella differenza e impegnandosi a restituire il quadruplo di ciò che ha frodato. Penso che i nostri statisti, i nostri governanti, gli esattori, gli uomini e le donne che guidano la complessa (troppo...) macchina fiscale dovrebbero guardare di più a Matteo, a Zaccheo e magari anche al pubblicano della parabola, quello che si mette in fondo al Tempio e chiede umilmente perdono a Dio. Quello che dovrebbero evitare è invece l’assolutismo dell’altro protagonista della parabola, il fariseo che si sistema in prima fila, che si gloria di pagare il tributo al Tempio, che ringrazia Dio per non essere come il pubblicano e punta il dito contro di lui, accusandolo di gravissime inadempienze.
Ivo Scorfanetti
Signor direttore,
noto che “Avvenire” continua a far suonare i tromboni sullo spartito della lotta all’evasione fiscale. Il problema è che questo tema non è minimamente credibile, dato che la maggioranza delle grandi Società per azioni sposta la sede nei paradisi fiscali, non solo riducendo quantitativamente la giusta contribuzione, ma pagando proprio zero al Paese d’origine. O si vuole far credere che tassando i maestrini che danno lezioni private e qualche barista disinvolto si pareggi la perdita dovuta alla scomparsa contributiva di multinazionali che fatturano miliardi?
Andrea Cavalleri
Ho messo insieme alcune delle lettere sul tema della lotta all’evasione fiscale più problematiche e polemiche, alcune decisamente contrarie a considerarla un serio problema dell’Italia. Mi colpisce sempre che ne continuino ad arrivare pure ad “Avvenire”, un giornale che parla chiarissimo da sempre a questo proposito... Non so più quante volte anche sulle nostre pagine si è ragionato – e io personalmente l’ho fatto, anche in questo spazio di dialogo coi lettori – attorno al «malcostume nazionale» del rubare agli onesti attraverso l’evasione di tributi e tasse. Già perché questo è il punto e questa è la disonestà: chi evade il fisco non ruba “allo Stato”, ma prima di tutto ai contribuenti leali che per condizione (lavoro dipendente) e convinzione (senso del bene comune) onorano la propria cittadinanza pagando il dovuto, e che sopportano il peso del fisco anche per coloro che non fanno il proprio dovere. Girarci intorno, costruirsi alibi, stravolgere addirittura la parola di Cristo sul “dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio” serve forse ad annebbiare idee e vista, ma non cambia la realtà. Non può farlo.
Bisogna prendersela coi grandi evasori ed elusori fiscali? Ovvio. La giusta proporzione deve essere un requisito essenziale dell’imposizione? Certo. Purché sia chiaro che ognuno deve fare la propria parte con onestà e, persino, con civile dedizione. Chiedendo a chi ci rappresenta e ci governa di fare lo stesso. Anzi, pretendendolo. Proprio come continua a sollecitare con sacrosanta fermezza il presidente Mattarella. Perché nessuna lotta ai grandi manigoldi è possibile e nessuna equità realizzabile se chi fa le regole corteggia gli spiriti animali dell’egoismo e chi deve rispettarle immagina di poter decidere in modo autoreferenziale ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. All’estremo limitare di questo 2019, cari amici, auguro a tutti noi sempre meno evasori (e cantori dell’evasione) e una escalation di solidarietà e di responsabilità. Altrimenti sarà difficilissimo uscire dalla lunghissima crisi di fiducia e di speranza che attanaglia il nostro Paese. Arrivano gli anni 20 del XXI secolo. Facciamo che siano anni buoni, buoni per davvero.