Tristi gesti e belle storie sin dentro il presepe: il male ferisce, il bene è di più
Caro direttore,
si susseguono in questi giorni le ripugnanti notizie di rappresentazioni della Natività profanate, di presepi bruciati o violentati, di statue del Bambinello divino rubate o decapitate, e di altri scempi della memoria più cara che i cristiani portano nella mente e nel cuore: quella di Gesù, l’Emmanuele, il Dio che fa dono di sé stesso a noi per farci suoi figli. Nulla di più prezioso di questo portiamo nella nostra vita, e nulla di meglio abbiamo da offrire alla stupita ammirazione degli uomini e del mondo. Per questo da secoli presentiamo pubblicamente dentro e fuori le chiese la raffigurazione artistica dell’Avvenimento divino-umano accaduto in Palestina all’alba della nostra era, come un gioiello che non può essere tenuto nascosto in sacrestia, ma deve risplendere agli occhi di tutti. E per la stessa ragione acconsentiamo volentieri che anche in luoghi civici vengano allestiti – anche da non credenti – presepi che fedelmente e dignitosamente riportano al presente quanto occorso nel passato. Il Natale cristiano non è un tesoro di famiglia da conservare in una collezione privata, in una stanza blindata e inaccessibile, ma il Bene comune più grande dell’umanità, che è per tutti e nulla e nessuno potrà mai strappare. Se ci rattristano e ci feriscono questi attentati alle icone materiali della Natività, ci rasserena una umile ma tenace certezza: il Figlio della Vergine di Nazareth, vivo e presente in mezzo a noi, non verrà mai sottratto agli occhi della nostra fede, all’abbraccio del nostro amore, e allo sguardo della nostra speranza. Non si agitino vanamente i facinorosi e non si esaltino per le loro scellerate prodezze: quello che non è stato possibile a nessun palese e audace tentativo in duemila anni – cancellare dalla storia il Natale di Cristo – non riuscirà certo in qualche giorno di dicembre per mano anonima e pusillanime.
Roberto Colombo
Caro direttore,
sono un’insegnante di una delle cosiddette “periferie” di Rimini: Miramare, nome diventato famoso la scorsa estate in tutta Italia per un orrendo fatto di cronaca nera, e per questo finito sotto i riflettori del mondo. L’esperienza insegna, però, che ogni ferita può diventare grido, può generare una nuova apertura, e farci diventare più attenti a quei segni buoni che la vita, quando è accolta, ci mette sempre e anche inaspettatamente davanti. Come quel pomeriggio di fine ottobre, quando, mentre camminavo in spiaggia con due bidoni bianchi, per raccogliere le conchiglie dopo una mareggiata, incontrai un vecchio bagnino, tutto intento a pulire il suo pezzo di spiaggia. Mi guardò e mi disse: «È per il presepe?». Io, stupita e anche un po’ turbata dall’intuizione del nonno, risposi: «Sì!» E lui tirò fuori dalla tasca una bella conchiglia e mi disse: «Mettete pure questa nel vostro presepe!». E con quella conchiglia, per me misteriosa, ho continuato a cercare i segni che mi indicassero la strada per realizzare il Presepe Vivente di Miramare – che si è svolto domenica 17 dicembre – la cui esperienza è condivisa sin dall’origine da ormai quindici anni, con la maestra Letizia e con tanti altri, in continuo aumento. Tutto questo e la mostra visitata al Meeting “Il presepe che meraviglia”, realizzata da padre Marco Finco e la lettura de “Il pastore della meraviglia” ci hanno indicato la strada del Presepe di quest’anno: la meraviglia.
Ma questo sentimento così profondo del cuore non è in grado di generarlo nessuno, tantomeno noi! Era evidente che ci era solo chiesto di continuare a guardare i segni...
E così accade che durante una cena a casa, mentre si iniziava a parlare di presepe, ci sia al tavolo anche Alassane, un ragazzo profugo, a cui mi viene spontaneo chiedere: «Ma tu sai cos’è il Presepe?». E lui: «No». Quel “no”, ha sollecitato subito il desiderio di raccontare, spiegare e ancor più far vedere. E così Alassane è divenuto uno dei protagonisti principali del nostro Presepe, insieme a Daniele, che rappresentava la tradizione, a Giuseppe, il nostro Pastore della Meraviglia e a tredici bellissimi ragazzi delle medie di Miramare che hanno interpretato alcune delle statuine più significative del presepe tradizionale: Benino, il pastore dormiente, il buon pastore, il cacciatore e il pescatore, le lavandaie, la donna al pozzo, i giocatori di carte con l’oste... . Con loro e attraverso loro siamo stati condotti a riscoprire quei fattori così desiderabili che ci definiscono come uomini: l’umiltà, la purezza, la bontà, la semplicità, il peccato perdonato. E poi i tre Re Magi: Moumed (senegalese), Shanhao (cinese), Andrea (romagnolo), uomini così “lontani” tra loro, con storie diversissime, tre incontri e un’amicizia nuova che fiorisce. E la famiglia, con quel bimbo nato il 25 novembre, proprio un mese prima di Natale, il cui unico dubbio per la madre è stato: «Ma sarebbe un Gesù un po’ scuro... ». Eh sì, perché loro sono di Burkina Faso, e hanno visto nascere qua il loro terzo figlio. Ed è stata la loro figlia più grande a deporre il Gesù Bambino dell’anno 2017, a Miramare, dentro la mangiatoia. Mentre un altro suo fratellino teneva stretto tra le mani un giglio. Giuseppe così dignitosamente e umilmente fiero, con Maria, così sorridente e lieta, insieme ai loro figli, hanno reso la Sacra Famiglia un’esperienza. E, poi, il violino, suonato da una giovane bulgara, il flauto, i canti dei bambini hanno aperto i cuori alla commozione e allo stupore, quasi a dire: “È tutto vero ed è possibile vivere così!”
E quei bambini, tanti, con i loro genitori, tutti lì ad adorare un Dio che si è fatto uomo, ognuno col peso della propria storia, dei propri errori e fatiche, ma tutti lì, trascinati da un Fatto misterioso, a tanti magari incomprensibile, trascinati da Quella Meraviglia!
Donatella Magnani
Il male e la malizia esistono, l’ostilità e l’indifferenza lasciano il segno, la presunzione e il disprezzo pesano, l’ignoranza e la violenza feriscono. Per questo due millenni fa Dio si è fatto piccolo e fragile ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, nascendo da donna. Lo ha fatto per amore, per salvare il mondo, per toccare la storia e cambiarla per sempre, anche se la parte che spetta a noi non si è fatta per questo evento, che ricordiamo nel tempo di Natale, più leggera né meno preziosa ed entusiasmante. Queste due belle e vibranti lettere dicono proprio questo, in diversa maniera. Il professore don Roberto lo fa con accenti dolenti su devastazioni e furti anti-presepe, questo presepe che è il mondo ed è la storia, ma visti e presi e capiti dalla parte degli ultimi e degli inermi, perché questo è stato l’impressionante volere di Dio. La maestra Donatella ci consegna, invece, parole felici su uno dei tanti (e tutti speciali) “racconti viventi” della nascita di Gesù che rendono ancora più belli e attuali incontro e memoria nel tempo delle diversità da conciliare e da riconoscere sorelle che ci è affidato da Dio.
Stanno bene insieme, le due lettere. Tutti questi anni di dialogo coi lettori credo che abbiano reso chiaro che se, da cronista, non posso e non voglio ignorare nessun male, resto persuaso che il bene sia sempre più grande e più forte. Ecco perché credo anch’io che i forsennati, o anche solo gli irrispettosi, che hanno provato a sconvolgere il racconto del Natale e a irridere il Dio Bambino siano degli illusi, proprio come coloro che pensano di potere chiudere dietro barriere e dentro schemi amari e tristi la vita degli uomini e delle donne per i quali Lui è venuto. Sono illusioni cattive, ma perdenti. Possono provocare ulteriori amarezze nelle imperfette vite di persone e comunità, possono addirittura – e in tanti modi – crocifiggere, ma non possono impedire agli uomini e alle donne «amati dal Signore» la fatica condivisa della costruzione paziente di una felicità vera, qui e ora. Il Paradiso comincia necessariamente qui. Questo è anche il caldo augurio che rivolgo a tutte le amiche e a tutti gli amici lettori, e con cui li saluto dal confine tra il vecchio e il nuovo anno.