Perché è meglio che chi può paghi ancora il «superticket»
Gentile direttore,
sono un medico in pensione e le scrivo per avere una sua opinione riguardo quanto mi è appena accaduto. L’altro giorno andando a prendere delle medicine in farmacia non mi è stato fatto pagare il superticket, contrariamente a quanto accadeva di solito. Mi è stato detto che si trattava di una nuova disposizione governativa in vigore dai primi del mese di settembre. Penso che il governo sia voluto venire incontro ai cittadini in questo momento di diffusa difficoltà economica facendosi carico totalmente della spesa farmaceutica. Tuttavia così facendo si sottraggono risorse (quelle di quella parte di popolazione che può pagare il contributo aggiuntivo) per la spesa sanitaria soprattutto per quella destinata a proteggere le fasce più deboli della popolazione. Si dirà che questa quota “regalata” alla fasce benestanti non è rilevante rispetto alla spesa sanitaria totale. Può darsi che sia vero, ritengo però che sia “ingiusto” non richiedere il contributo previsto a quella parte già “privilegiata” della società, sottraendole il dovere/diritto morale di contribuire alla spesa farmaceutica soprattutto in questo drammatico momento per il Paese. Che cosa ne pensa?
Franco Bergesio, Firenze
La penso esattamente come lei, gentile dottor Bergesio. E credo che tanti italiani assolutamente in condizione di pagare il cosiddetto «superticket» su farmaci e prestazioni sanitarie la pensino allo stesso modo sul diritto-dovere di dare un contributo mirato al Sistema sanitario nazionale per garantire servizi e farmaci anche a chi ha di meno. Solo che per definire tutti costoro (compresi lei e me stesso) non userei – neanche con la sua buona intenzione e pur tra virgolette – l’espressione “privilegiati”. Il privilegio etimologicamente rimanda a un onore reso a una persona singola e nel parlar comune è qualcosa di garantito non in modo inclusivo ma elargito in modo esclusivo (e dunque “contro” qualcun altro). Non è questo il caso, anche perché la misura riguarda non solo nababbi, ma persone con un imponibile fiscale annuo dai 36mila euro in su. Certo, tutto è dono nella nostra vita, ma è anche vero che tra i benestanti (o presunti tali) moltissimi, mettendo a frutto i talenti ricevuti, costruiscono con dedizione e fatica la loro condizione e non lo fanno solo per se stessi. Lei, caro e giusto amico, lo dimostra anche con questa lettera.