Opinioni

Il voto. Dire addio alle pluricandidature per il vero rapporto elettori-eletti

Martino Liva venerdì 19 agosto 2022

Il nostro Paese corre verso il voto del 25 settembre e si addentra in settimane di campagna elettorale. In attesa di un serio confronto sui contenuti programmatici (arriverà?), il dibattito politico si concentra su strategie, simboli e liste. Già, perché tra il 12 e il 14 i partiti dovranno depositare i simboli elettorali, mentre tra il 21 e il 22 agosto, concludere la composizione delle liste. Ecco, a tale ultimo proposito, è utile ricordare cosa prevede la legge, e, soprattutto, invitare i partiti a uno sforzo di chiarezza verso gli elettori. Ci si riferisce al meccanismo delle pluricandidature. È vero che la legge elettorale attuale (il cosiddetto Rosatellum), anche sulla scia delle considerazioni della nota sentenza Corte Cost. 35/2017 sul cosiddetto Italicum, ha migliorato quanto prevedeva sul punto la legge precedente (il cosiddetto Porcellum).

Ma ancora lo prevede. Che significa? Alcuni candidati posso presentarsi in più liste proporzionali (cioè nei collegi plurinominali), fino a un massimo di cinque, oltre alla possibilità di competere anche in un solo collegio uninominale. Astrattamente, ove un candidato sfruttasse al massimo questa facoltà, potrebbe presentarsi agli elettori di 6 diversi collegi: in uno, come candidato per il sistema maggioritario, negli altri cinque, in liste a elezione proporzionale. Si dirà: il meccanismo nasce anche per favorire i partiti minori, spesso più in difficoltà nel trovare candidati in tutti i collegi a livello nazionale.

Certo è che, però, un utilizzo disinvolto del meccanismo, si traduce in una sorta di inganno per gli elettori, affievolendo il legame che li lega (o dovrebbe legarli) agli eletti, oltre che in una 'furberia' per assicurare a certi candidati un seggio in Parlamento, scalfendo nuovamente il rapporto di fiducia tra elettore ed eletto. Qualche esempio? Un candidato bocciato nel collegio uninominale, può, infatti, comunque essere eletto in Parlamento per il viatico di una lista proporzionale, magari in diverso collegio.

Ma resta un candidato rifiutato dal suo elettorato. Oppure, un candidato che si presenta in liste proporzionali di cinque diversi collegi, essendo poi necessariamente eletto solo in uno (per la legge, quello nel quale la lista cui appartiene ha ottenuto la minore percentuale), di quale comunità di sentirà espressione? A quale elettore potrà dire, 'io ti rappresento'? E gli altri, che pure lo hanno sostenuto, non si sentiranno un poco traditi? Allora, un’idea molto semplice, sperando che non evapori sotto il sole di ferragosto. Perché non rinunciare, al sistema delle pluricandidature, nel segno di un surplus di trasparenza verso gli elettori rispetto a quanto dice la legge?

Perché non selezionare chi davvero ha un rapporto solido con un certo territorio, per i collegi uninominali (senza paracadute nel proporzionale) e lasciare ai rappresentati politici – o ai candidati indipendenti o 'di bandiera' – le liste proporzionali, applicando in via volontaria, anche qui il principio, di un collegio soltanto? Una nota finale. Trasparenza elettorale vorrebbe che chi si candida al Parlamento ricoprendo altre cariche pubbliche elettive per legge incompatibili (parlamentare europeo, sindaco dei Comuni più grandi, presidente di Regione), dicesse prima, se eletto, per quale carica opterà. E, se possibile, spiegasse ai suoi vecchi elettori, che l’avevano selezionato per un certo ruolo, il motivo della scelta. Sempre che dare spiegazioni al cittadino elettore non sia considerato troppo un impiccio.

Giurista e avvocato