Covid e giovani. Dipendenze generazione da maneggiare con cura
Maneggiare con cura, generazione fragilissima. Bisognerebbe scriverlo così, a chiare lettere, senza paure e ipocrisie. Come si faceva una volta, con qualcosa di prezioso. Siamo di fronte a un passaggio importante che riguarda i nostri figli. La stagione traumatica della pandemia ha avuto effetti devastanti dal punto di vista educativo, allargando il fossato che già esisteva tra il mondo degli adulti e il mondo dei ragazzi.
Non passa giorno senza che una statistica, uno studio, un rapporto ci ricordi cosa è successo nell’universo dei minori durante il lockdown, affondando il colpo una volta sul rischio della dispersione scolastica, un’altra sul crollo delle motivazioni nello studio, un’altra ancora sullo stress accumulato, un’altra infine sul fantasma del ritiro sociale dei nostri adolescenti. È tutto giusto, purtroppo, è tutto terribilmente vero. In particolare, in questi giorni, con il viaggio appena iniziato da 'Avvenire' dentro il mondo delle dipendenze, facciamo i conti con le due facce della stessa medaglia: da un lato l’inaridirsi delle relazioni sociali che porta sempre più alla solitudine dei nostri figli, alla chiusura e alla resa dentro le quattro mura di casa, dall’altro il moltiplicarsi incredibile delle illusioni offerte sotto forma di sballo dalla Rete e dai social. Una volta il disagio si vedeva nelle strade, sui marciapiedi, financo nelle piazze. Oggi è un urlo soffocato, o forse un silenzio prolungato, dentro tante camere, fisiche e virtuali.
Per questo, la generazione fragilissima merita un dibattito pubblico serio, all’altezza di un Paese civile, che vada al di là della decisione sulle mascherine all’aperto o sulla riapertura delle discoteche. Dentro questa vulnerabilità, infatti, ci sono energie e tesori preziosi da preservare: la voglia di riemergere dal buio, l’impegno a usare i propri talenti, l’attenzione al prossimo e alla comunità. Fatevi un giro nei Grest e negli oratori estivi e vi renderete conto che lo spirito di servizio e la passione educativa non sono venuti meno, anzi. Per alcuni, la capacità di reazione è stata grande e ha già portato frutto. Per tanti, temiamo si tratti di una maggioranza silenziosa, il tempo di uscire in campo aperto non è ancora arrivato.
Occorre leggere tra le righe di questo malessere, che rischia di diventare anche una ferita sociale, e riconoscere che ai giovani di domani manca un pezzo: è il pezzo della comunità ora ad essere assente. Non a caso, si parla di 'comunità educante' da ricreare al più presto, facendo rete sul territorio e responsabilizzando enti locali, scuola, famiglia. I destinatari del 'messaggio in bottiglia' che immaginiamo spedito questa estate da milioni di ragazzi sono loro: i genitori, gli insegnanti, gli educatori, gli psicologi, i parroci, i catechisti, gli allenatori, i medici. Starà a loro farsi carico di questa fragilità, farla venire fuori con tutta la delicatezza e la pazienza del caso e trovare le risposte.
Questo è già un tempo propizio, dove alle parole devono sostituirsi proposte concrete. Soluzioni su misura per chi è nella fase dell’emergenza più acuta (si pensi ai drammi della droga, dell’alcol, dell’azzardo). Ci si metta tutti intorno a un tavolo e si arrivi a prospettare percorsi possibili di recupero. E poi, come è sempre stato, si propongano esperienze di vita in grado di saziare la fame troppo a lungo sopita di futuro da parte delle nuove generazioni. Siamo dentro un’emergenza educativa, ma non occorrono risposte emergenziali e vieti luoghi comuni. Occorre cominciare a prendere sul serio questi ragazzi, mettendoli al centro dei nostri pensieri.