Audacia e responsabilità. Sono due tra le tante parole significative presenti nell’enciclica di papa Francesco indirizzate in particolare al mondo della scienza e della ricerca auspicando per quest’ultimo un cambio di rotta. La
Laudato si’, infatti, si occupa di ambiente e sviluppo sostenibile e la preoccupazione finale è la costruzione di un mondo di pace attraverso la salvaguardia della nostra casa comune. Papa Francesco affronta senza timori il tema della scienza e della ricerca e delle tragiche distorsioni che si manifestano quando esse non sono più al servizio della vita e dell’umanità ma viceversa contribuiscono alla produzione di strumenti di distruzione e di armamenti sempre più sofisticati. Nel testo si ritrova la condanna chiara e senza appello alla ricerca scientifica e alla tecnologia in ambito militare. In un passaggio cruciale il Papa scrive: «… Basta ricordare le bombe atomiche in pieno XX secolo, come il grande spiegamento di tecnologia ostentato del nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al servizio dello sterminio di milioni di persone senza dimenticare che oggi la guerra dispone di strumenti sempre più micidiali». Questa denuncia arriva in un momento in cui noi, come cittadini di Paesi occidentali, viviamo da spettatori nel mito di una guerra tecnologica in continua evoluzione. Il sostegno e il favore acritici nei confronti di questa si rafforzano quotidianamente invece di divenire un tema dibattuto in seno alle classi dirigenti delle nostre democrazie. L’esigenza di sollevare tale dibattito, peraltro, dovrebbe essere particolarmente sentita nei Paesi europei in cui – ad eccezione del Regno Unito – le grandi imprese produttrici di armamenti sono di proprietà pubblica. Invero, gli Stati europei rischiano di alimentare le guerre attuali e future non necessariamente con azioni militari dirette ma attraverso la produzione di armamenti e per mezzo di ingenti finanziamenti pubblici alla ricerca militare. Attualmente i Paesi che impiegano più risorse in ricerca e sviluppo per la difesa sono nell’ordine Francia, Regno Unito, Germania, Italia e Polonia. La crisi finanziaria del 2008 aveva nei fatti diminuito i
budget disponibili, ma la tendenza al ribasso sembra purtroppo essersi fermata. L’Italia, ad esempio, ha registrato tra il 2012 e il 2013 un aumento più che significativo del 62%. Per sostenere il finanziamento pubblico della ricerca in campo militare si propone sovente l’argomentazione dello
spillover tecnologico e dei potenziali benefici a favore dell’economia nel suo complesso. Come abbiamo già avuto modo di scrivere sulle pagine di 'Avvenire', tale argomentazione, per quanto foriera di fascino e consenso, si è però rivelata decisamente fragile alla prova dei fatti e non trova conferme in un gran numero di studi. La segretezza della ricerca in campo militare, infatti, rallenta l’introduzione nel mercato civile di eventuali innovazioni creando infine un danno e non un beneficio alle economie. E questo è particolarmente vero per i Paesi come l’Italia in cui l’offerta di capitale umano è limitata e quindi ogni nuova risorsa impiegata nella ricerca militare è sottratta al mondo della ricerca e dell’innovazione civile. La ricerca in campo militare, pertanto, oltre a sviluppare strumenti di distruzione determina un nocumento alle stesse economie in cui essa è finanziata e condotta. Una riallocazione delle risorse destinate attualmente alla ricerca militare a favore di quella civile dovrebbe essere, quindi, un’opzione di politica economica non più rinviabile per molti Paesi. Ma – come ha sottolineato papa Francesco – per questo cambio di rotta servono audacia e responsabilità. Salvaguardare la nostra casa comune è funzionale alla costruzione dell’infrastruttura di un mondo di pace. Il mondo della scienza pur non potendo far terminare le guerre in corso, può, però, svolgere un ruolo cruciale suggerendo soluzioni che aiutino a rimuovere le cause e gli incentivi di molte guerre future.