Dietro i muri il passato. Europa e democrazie illiberali
Fortezza Europa. Alzare una barriera, non metaforica, ma fisica, concreta, dura, per fermare i migranti. Il loro arrivo è il tema più urgente e importante per la Ue. Il messaggio è semplice e diretto, come si addice a una politica che con la propaganda vuole conquistare un elettorato che ormai si dovrebbe accontentare di slogan.
L’incontro milanese tra il vicepremier italiano Matteo Salvini e il leader ungherese Viktor Orban ha assunto una valenza simbolica che nelle contingenze di questi mesi lo rende più rilevante di quello che forse meriterebbe. Infatti, i nazionalismi che guardano al proprio cortile non possono che trovare convergenze brevi e superficiali. Orban chiede all’Italia di sigillare i mari come Budapest alza il filo spinato alle sue frontiere. La Ue diversa di cui i due interlocutori di ieri si dichiarano campioni, anzi "eroi" come ha detto il premier magiaro del nostro ministro dell’Interno, è quella che non gestisce i flussi in arrivo, ma li impedisce.
Ma davvero bloccare l’arrivo di persone extracomunitarie è la prima emergenza del continente e il collante di una nuova idea di Europa? Una volta eretti i muri, tutti i diritti elencati da Salvini ieri, dalla vita al lavoro, dalla salute alla sicurezza, si concretizzeranno magicamente? La vituperata Unione di oggi è quella che garantisce una crescente prosperità all’Ungheria, grazie a un rilevante aiuto economico netto. Come si pone l’Italia di fronte a questo, posto che Roma minaccia di bloccare il proprio contributo al bilancio Ue se gli altri Paesi non accetteranno la redistribuzione di profughi, cosa che Budapest si rifiuta di fare, fieramente alla testa del gruppo di Visegrad, ostile a ogni ricollocamento?
Ciò che si staglia sullo sfondo della sintonia emersa dalle dichiarazioni rilasciate a Milano riguarda, tuttavia, una prospettiva più generale e, per alcuni versi, più preoccupante. Orban è alfiere di quella che non disdegna di chiamare "democrazia illiberale", come formula per definire la risposta tranquillizzante a una globalizzazione minacciosa. È democrazia perché si basa sul voto popolare. Su questo concordano sia i sostenitori sia i critici.
Per i critici, questo modello è "illiberale" perché chi è al governo usa il potere ottenuto al fine di limitare il sistema di controllo incrociato, imbrigliando la magistratura, controllando i media, riducendo lo spazio di critica della società civile e, ovviamente, chiudendo le frontiere, azioni che il premier ungherese ha perseguito sistematicamente.
Per i sostenitori, invece, il modello è "illiberale" perché contrasta una certa specifica visione liberale del mondo. In questo senso, difende la nazione, l’omogeneità etnica, l’idea di sovranità, la famiglia, e avversa l’economicismo, il presunto predominio della élite finanziaria internazionale e l’europeismo ridotto a sinonimo di burocrazia (non a caso tra i bersagli principali ci sono Soros e Macron).
Negando che le migrazioni siano argomento da affrontare con continuità e saggezza, imponendo un rigorismo economico che ha inciso nella carne viva dei popoli (si pensi alla Grecia) e spingendo spesso sui tasti di un progressismo sociale che contrasta con la sensibilità popolare e cristiana ancora ben radicata, le forze e gli Stati egemoni nell’Unione Europea han provocato fenomeni di rigetto troppo sottovalutati o trattati con sufficienza. Il sovranismo – etichetta soft della democrazia illiberale – non sembra affatto la soluzione.
Non è difficile immaginare come la Fortezza Europa finirebbe con il riversare le pulsioni di chiusura al suo interno. E i sorrisi tra Salvini e Orban lascerebbero presto il posto a rivalità su risorse da spartirsi, mercati da chiudere, protezionismi da instaurare... È questa l’Europa che si vuole? Un’Europa esattamente speculare nei suoi difetti rispetto all’attuale?
Le riforme ragionevoli richiedono razionalità e pazienza e non eccitano le folle ai comizi come gli slogan sui muri da erigere in mare e sulla terra. Rimangono però l’unica strada per non precipitare in un’Europa che si vende come nuova eppure assomiglia a quella di un passato che pochi vorrebbero davvero rivivere.