Editoriale. Il diritto alla pace. Papa Francesco e la realpolitik del dialogo
«Non siamo neutrali, ma schierati per la pace. Perciò invochiamo lo ius pacis come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza». Sono affermazioni di un alfabeto papale che costituiscono ormai la grammatica dell’opera del Papa francescano che, a imitazione di Cristo, Principe della pace, fin dall’inizio ha abbracciato tout court la «pace attiva» con continui gesti, azioni, viaggi, incontri e pronunciamenti. Il suo armamentario contro la guerra, con il suo totale e radicale ripudio, è stato e continua a essere un solido e lungimirante magistero, certamente il più monumentale in questi tempi oscuri.
E se la ricerca della pace è il servizio inscritto nel Dna del ministero petrino, certamente, in tempi oscuri, Francesco ha rimesso in luce dall’oblio delle cancellerie – e non solo – la traiettoria realista di una politica della pace. Una politica, un servizio cioè, che comporta l’impegno quotidiano a conoscere le situazioni, a comprenderle e interpretarle attraverso la pratica del dialogo per la soluzione delle crisi. Uno sforzo percorribile che volge a cancellare l’«abitudine di considerare il ricorso alle armi come parte del normale andamento dei rapporti internazionali», perché la guerra – e bisogna ancora sottolinearlo a fronte di quanto oggi accade – non è più uno strumento lecito dell’azione internazionale: «È stata espunta dai mezzi che rientrano nella disponibilità degli Stati per risolvere eventuali controversie o per imporre disegni egemoni», come hanno ricordato di recente il segretario di Stato Pietro Parolin e il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, riguardo ai conflitti in Medio Oriente.
Nel suo magistero Francesco ha così tolto dall’obiettivo della pace l’idea della forza organizzata come sinonimo di interesse comune. Da quando ha stigmatizzato la «terza guerra mondiale a pezzi», oggi – a due anni dall’invasione dell’Ucraina – come allora, non usa mezzi termini per «la crudele e insensata guerra che rappresenta una sconfitta per tutti noi». E continua a denunciare quanti da questa «follia» ricavano profitto: «Coloro che guadagnano con il commercio delle armi sono delinquenti che ammazzano l’umanità». E di fronte alla assuefazione alla guerra, alla piega degli eventi, continua a chiedere: «Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla?».
Certo è che nel nostro mondo in frantumi – libero dai legacci e dagli interessi dei poteri forti che impongono il pensiero unico – il Papa si erge come unico leader mondiale a invocare la pace con le mani non sporche di sangue, non colpevoli di aver contribuito a fornire strumenti di morte in nome di un disarmo mai praticato. Unica voce in un mondo senza più riferimenti autorevoli e credibili, Francesco coraggiosamente e senza infingimenti è capace di dire senza retorica la verità a fronte delle sporche guerre in atto: «Un’umanità che ha smarrito la via della pace ha dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali, ha disatteso gli impegni presi come Comunità delle Nazioni, si è rinchiusa in interessi nazionalisti e ha scelto di sopprimere vite e accumulare armi».
La guerra, infatti, non guarda alla vita delle persone, mette davanti a tutto interessi di parte e di potere: «Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio».
Lo sguardo del Papa si muove sempre dentro i grandi orizzonti della storia e dei valori di fraternità che formano le basi della dottrina sociale cristiana e hanno di conseguenza valore politico nella sua accezione più alta. Quanto insegna da pastore è una visione che incoraggia al bene e a impegnarsi per la pace, a partire dalla convinzione che il bene proprio si realizza nel modo migliore e duraturo dentro il bene comune, nel servizio agli altri, specialmente se deboli e poveri, contrastando la sete spasmodica del denaro, mostrando al mondo che una via di scampo è possibile – e obbligata – per uscire dalla spirale dell’auto-annientamento messa in atto dalle agenzie finanziarie del terrore.
Francesco ha riconsegnato così al mondo la magna charta della pace, che non è utopia, o semplice sintesi del suo magistero e degli orientamenti perseguiti costantemente dall’impegno e dall’azione diplomatica della Santa Sede sul tavoliere internazionale per soluzioni giuste e realistiche dei conflitti: è lo stile per lo sviluppo dell’umanità e il bene comune, ragionevole e perseguibile, basato sul primato del diritto e della dignità di ogni persona. Perché «la nostra responsabilità qui è grande, specialmente in quest’ora della storia». E non seguirla non è solo irresponsabilità: è atto criminale.