Il direttore risponde. «Deserto di servizi nei piccoli centri» È disprezzo delle persone e del Paese
Gentile direttore,
Poste Italiane Spa, con un avviso recapitato a tutti i residenti del Comune dove vivo, ha gentilmente informato che da questo mese la consegna degli invii postali, nonché la modalità di raccolta dalle cassette d’impostazione, sarà a giorni lavorativi alterni. Con questa decisione unilaterale, presa per poter rendere “sostenibile la fornitura nel tempo”, un altro servizio pubblico viene ridimensionato. La scelta di Poste Italiane non è che il risultato di un cammino ormai più che decennale mediante il quale, passo dopo passo, si è progressivamente ridimensionato, o cancellato, tutto quello che era considerato servizio pubblico. La costante demonizzazione di tutto ciò che è collettivo ha trasformato quello che un tempo era ritenuto un servizio per l’intera comunità, in un “prodotto” per il mercato. Dalla scuola, alla sanità, ai trasporti, alle poste, ormai tutto è “prodotto”, quindi tutto deve sottostare alla logica del profitto. Il caso del recapito postale ne è un chiaro esempio: sebbene le Poste non abbiano problemi di bilancio perché realizzano utili ingenti, si taglia sulla distribuzione degli invii, essendo questo solamente un costo per l’azienda. È più remunerativo vendere prodotti finanziari, telefonini o servizi di ogni genere, che consegnare lettere ai residenti che vivono in piccoli centri. Ovviamente, in una logica di puro mercato e non di bene comune, a nessun top manager di Poste Spa conviene proporre agli azionisti, di cui uno è lo stesso Stato italiano, di utilizzare anche un’infima parte degli utili della società per coprire i costi dei portalettere nei centri marginali di collina o di montagna. Il risultato di questo tipo di scelte scellerate per scuola, trasporti sanità e, ora, posta è sotto gli occhi di tutti: i piccoli centri si sono progressivamente spopolati, le giovani famiglie se ne sono andate, le attività commerciali locali hanno dovuto chiudere, i centri storici sono diventati centri fantasma e le comunità si sono frantumate. Appare chiaro che ormai non viviamo più in una Nazione, ma in uno Stato-Azienda. Parole come “bene comune, solidarietà, equità, giustizia sociale, corresponsabilità, compartecipazione, aiuto reciproco, accoglienza”, ecc., sono sparite dal vocabolario governativo per lasciare spazio solamente al lessico bocconiano del profitto. Come potrà funzionare uno Stato simile? Per forza di cose la dittatura del profitto porterà inesorabilmente alla fine della democrazia. Su questo bisognerebbe meditare prima che sia troppo tardi.