L'intervento. Denatalità, non ci si può rassegnare al declino
Gentile direttore,
le settimane antecedenti Gla redazione della legge di bilancio sono connotate da annunci, smentite e rinvii che talvolta hanno a che fare con divergenti vedute tra le forze di governo, talaltra con la difficoltà di reperire fondi per garantire le coperture economiche. Non fanno purtroppo eccezione, in questi ultimi giorni, le misure di sostegno alle famiglie: basti pensare all’«assegno unico » per ciascun figlio, annunciato come priorità, poi bloccato infine rinviato all’anno prossimo. Se e quando sarà declinato ufficialmente e dettagliatamente potremo valutare l’incisività di questo provvedimento, ma per l’ennesima volta siamo di fronte a una misura singola a fronte di un fenomeno tanto complesso quanto allarmante: il declino demografico. Il progressivo impoverimento del fondo per le politiche della famiglia, la frammentazione delle competenze, una prospettiva di breve periodo: dal combinato di questi tre fattori risultano le misure varate negli anni a favore delle famiglie, spesso utili, sempre non sufficienti.
Quel che manca – come il giornale da lei diretto continua a documentare e a sottolineare – è appunto una visione panoramica e di lungo periodo: il declino demografico – dato dal saldo tra nascite e decessi – è in atto ormai da anni (per la verità non solo in Italia, ma anche in molti altri Paesi europei) e i legislatori hanno il dovere di affrontarlo nella sua complessità, in combinato con l’invecchiamento della popolazione, senza cedere alla tentazione di misure 'spot' o contando su fenomeni indipendenti dalla volontà politica. A questo proposito, è pur vero che a mitigare gli effetti del calo demografico c’è il saldo migratorio, ma fare affidamento sull’arrivo in Italia di cittadini stranieri rappresenta, a mio avviso, un errore e una resa.
Un errore perché i fenomeni migratori non possono essere arrestati, ma devono essere governati per scongiurare rischi di creazione di nuove marginalità sociali e minacce al sistema civile e valoriale italiano ed europeo. Senza contare che fare affidamento sugli immigrati per permettere la sopravvivenza di determinate attività economiche o della previdenza pubblica è offensivo proprio nei confronti di chi emigra, accolto non per solidarietà ma per mera utilità. Ed è una resa perché la politica non può trincerarsi dietro fenomeni esogeni e indipendenti (e se un domani prossimo i flussi migratori si arrestassero come potremmo far fronte alla scomparsa del principale argine al calo demografico?), ma individuare soluzioni per invertire la tendenza e favorire un incremento delle nascite. Partendo da una semplice domanda: quali sono le ragioni per cui in Italia nascono sempre meno bambini? Domanda a cui è possibile dare una risposta completa, approfondita ed esaustiva solo coinvolgendo le migliori intelligenze che operano in campo demografico, sociologico, economico, culturale, sanitario. Già nel 2014 in occasione della presentazione del Piano nazionale per la fertilità, emerse la necessità di approfondire con attenzione i fattori all’origine della contrazione della fecondità: sanitari, economici, sociali, culturali.
A distanza di cinque anni ciò ancora non è avvenuto. Se vogliamo scongiurare il rischio di ritrovarci nel 2050 con l’84% di popolazione inattiva è necessario che la politica, sino a oggi incapace di dare soluzioni efficaci, si proietti nei prossimi decenni, avendo la consapevolezza che un grande progetto, per invertire la rotta, deve partire dalle competenze, per poi declinare in norme le risultanze degli approfondimenti. Una sorta di impegno etico e morale che deve andare oltre le appartenenze partitiche. Un impegno che la classe politica si deve assumere per disinnescare questo timer che ci sta portando verso un tracollo socioeconomico e – non sembri apocalittico – persino all’estinzione.
deputato di Forza Italia membro della Commissione Affari sociali