Morire negli Usa, nascere in Italia. Demografia che sfida
Tra l’eredità che Barack Obama lascia al successore c’è, l’abbiamo scoperto dai dati diffusi in questi giorni, un sorprendente calo della aspettativa di vita nel popolo americano. Il dato del 2015 segna infatti la discesa da 76,5 anni di vita attesa a 76,3 per un neonato maschio e da 81,3 anni a 81,2 per una femmina, mettendo in luce un regresso sul piano della sopravvivenza che non si verificava dal lontano 1993. Contrastare l’aumento di numerose e importanti cause di morte, prime fra tutte l’Alzheimer e i traumatismi tra i neonati, dovrà dunque rappresentare una delle sfide primarie che in nuovo Presidente degli Stati Uniti sarà chiamato ad affrontare sin dall’avvio del suo mandato.
Passando ai fatti di casa nostra, anche chi assumerà la guida del Governo del nostro Paese dovrà seguire con particolare attenzione le problematiche di ordine sanitario, ma potrà forse contare su uno scenario apparentemente meno drammatico. Infatti, se è vero che nel 2015 la popolazione italiana ha avuto un calo dell’aspettativa di vita di 0,2 anni per i maschi e di 0,4 per le femmine, è anche vero che il resoconto dei primi sette mesi del 2016 - per i quali già si dispone di dati statistici ufficiali - sembra indurci a un certo ottimismo. La frequenza di morti è scesa dell’8,7% rispetto all’anno precedente (con 35 mila casi in meno nei primi sette mesi) e tutto lascia supporre che il totale annuo dei decessi sarà sostanzialmente in linea con quello del 2014, così che l’aspettativa di vita recupererà, come è accaduto in passato in altre analoghe occasioni, il terreno perso. Se poi vogliamo un’ulteriore iniezione di ottimismo ci basterà osservare che, anche in un anno poco favorevole come è stato il 2015, il dato italiano sulla durata media della vita resta di quasi quattro anni superiore al corrispondente valore statunitense. Detto in altri termini: il livello di aspettativa di vita che vale oggi Oltreoceano è stato raggiunto in Italia attorno al 2000 per i maschi e a metà degli anni Novanta per le femmine.
Ma la soddisfazione per aver vinto, una volta tanto, il confronto con gli Stati Uniti su un punto di così grande importanza, si spegne immediatamente se dal fronte della mortalità passiamo a quello della natalità. Infatti, mentre le statistiche internazionali accreditano gli USA con un livello di fecondità di 1,8 figli per donna, il corrispondente dato per l’Italia è indicato in 1,4 (regalandoci benevolmente un arrotondamento per eccesso). Per trovare da noi un valore simile al livello di fecondità americano - che seppur non arriva a garantire il ricambio generazionale ne è quanto meno poco distante - dobbiamo tornare indietro di quasi quarant’anni (al 1979).
Ecco dunque farsi strada il rovescio della medaglia nel panorama demografico del nostro Paese: dopo la bella notizia circa il calo della mortalità si affaccia quella, certo meno piacevole, sull’ulteriore contrazione del livello di nascite. E mentre ancora ci si interroga sulle cause che hanno portato a stabilire, con i 486 mila neonati del 2015, il record di minima natalità in oltre 150 anni di Unità nazionale, le statistiche ci informano che nei primi sette mesi del 2016 se ne sono conteggiati 262 mila a fronte dei 278 mila nello stesso periodo dello scorso anno. Il bilancio finale dell’anno potrebbe così portare l’Italia a stabilire, con 456 mila nati, un nuovo primato al ribasso. Ecco una pesante eredità che il nuovo Governo sarà chiamato ad assumersi. L’augurio è che lo faccia con piena consapevolezza e senso di responsabilità.