Opinioni

Generazione perduta. Il declino italiano e l'arma del delitto

Leonardo Becchetti giovedì 30 luglio 2015
​Dove sta il colpevole? Dove sta la responsabilità di quell’immane delitto che è il declino italiano? Un processo che, allo stato delle cose, ci condanna – secondo il rapporto del Fondo monetario internazionale sull’area euro – a recuperare solo tra 20 anni i livelli di occupazione pre-crisi, sacrificando un’intera generazione.Il rapporto ci consente intanto di individuare l’«arma» del delitto. Il dato più impressionante, il collo di bottiglia del declino italiano che emerge in modo netto è il crollo degli investimenti privati, che sono oggi solo il 78% rispetto ai livelli del 2007. Solo la Grecia al 63% fa peggio di noi, mentre Francia, Regno Unito e Stati Uniti sono sopra i livelli pre-crisi. Gli investimenti sono la via fondamentale attraverso la quale le imprese incorporano l’innovazione e aumentano la produttività del lavoro e quella totale dei fattori. Se, ad esempio, il progresso dell’elettronica e delle telecomunicazioni mette a disposizione nuovi mezzi per aumentare le nostre capacità di fare, questi progressi non possono essere realizzati se non investendo nei nuovi beni capitali e avendo una manodopera qualificata in grado di utilizzarli. Non a caso il crollo degli investimenti privati si accompagna per l’Italia a risultati assolutamente deludenti in termini di produttività totale dei fattori (in calo dell’1% ogni anno dal 2008 al 2014 come sottolinea lo stesso rapporto).I moventi del "delitto" che, in questi anni, ha provocato il declino dell’Italia possono essere molti. Si investe poco, perché la domanda interna dopo la crisi finanziaria globale è insufficiente, così gli imprenditori vedono nero all’orizzonte e temono di non avere volumi di vendite in grado di ammortizzare la spesa. Perché non tutto l’investimento può essere autofinanziato, e l’accesso alla finanza esterna è limitato dal razionamento del credito. Perché il sistema Paese è farraginoso, la burocrazia è inefficiente, la giustizia civile è troppo lenta (sempre il Fmi ci ricorda che siamo terzultimi per durata delle cause civili nella Ue, con un numero di giorni doppio rispetto alla media europea). Oppure, secondo alcuni, perché il costo del lavoro è ancora troppo elevato.Il dato di fatto, cento volte ricordato su queste pagine, è che gli Stati Uniti hanno risposto alla distruzione di moneta e al crollo di domanda post-crisi con il doppio intervento del quantitative easing (l’acquisto da parte della banca centrale di titoli del debito pubblico) e di una politica di investimenti pubblici che ha temporaneamente sostituito e stimolato quelli privati sforando il rapporto deficit/Pil (arrivato al 10% e poi rientrato sotto il 3% dopo la ripresa dell’economia). Questo ha portato a recuperare i livelli occupazionali pre-crisi.Cosa intende fare il governo italiano per riportare gli investimenti privati a livelli decenti? Il premier ha appena annunciato un piano di riduzione di tasse finanziato dalla spending review (tagli della spesa pubblica). Meno domanda pubblica e meno tasse spingeranno gli imprenditori a investire nel nostro Paese? E questo basterà per invertire la rotta?Se le cause di una crisi sono molteplici, è fondamentale agire su più fronti e sarebbe un errore clamoroso pensare che solamente la riduzione delle tasse combinata con la revisione della spesa possa produrre il risultato. Alla Grecia è stato imposto di cambiare il proprio Codice di procedura civile. Possiamo farcela da soli o abbiamo bisogno anche noi della "troika"? Nella ricerca delle soluzioni sarebbe un altro errore grave pensare che la riduzione del costo del lavoro sia lo strumento principale. Poiché l’innovazione è incorporata nel capitale, ma è necessariamente guidata dal lavoro qualificato, abbassare i salari o aumentare la precarietà non aiuta certo a formare e motivare la manodopera capace di gestire un processo così decisivo.Senza un’Eurozona più solidale, poi, non andremmo lontano. Bisogna continuare a lavorare per questo, perché il rapporto del Fmi fa chiaramente vedere che se il quantitative easing ha ridotto alcune asimmetrie tra Paesi dell’Eurozona (i differenziali di costo del credito, ad esempio) altri squilibri gravi sono ancora in piedi (basta vedere i saldi del sistema Target2).La vicenda greca dovrebbe aver fatto capire a tutti che il vero problema è quello della sostenibilità sociale e politica dell’euro. Se i tedeschi faranno ancora i primi della classe, dicendo in sostanza agli altri di arrangiarsi, l’Europa arriverà al collasso e prima ancora che economicamente sul piano politico. Quando si crea un gruppo che sale in cordata, e una volta iniziata la scalata ci si accorge che non si va allo stesso passo, ci sono due possibilità. O si decide di comune accordo di sciogliere il gruppo per procedere ognuno al proprio ritmo, oppure i più forti rallentano ed aiutano i più deboli (e i più deboli cercano di migliorare il proprio passo). L’unica cosa che i più forti non possono e non devono fare viste le difficoltà del gruppo è continuare al proprio ritmo come se niente fosse. Fuor di metafora, ciò vuol dire che o l’Eurozona introduce altri meccanismi di solidarietà e di compensazione degli squilibri (politiche fiscali comuni, armonizzazione delle imposizioni fiscali chiudendo i paradisi fiscali all’interno dell’Unione, sussidio europeo di disoccupazione) oppure il cessato allarme greco che ci consente di partire "tranquilli" per le vacanze sarà solo un momento di rimozione di un problema più grande destinato presto a tornare.