L'impegno di servire. Davvero la gratitudine è la «memoria del cuore»
Caro direttore, c’è bisogno della “riflessione” cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha incoraggiato qualche giorno fa i cittadini. C’è bisogno di «riflessione» dinanzi allo «slancio » e all’«altruismo di quanti hanno donato la propria vita per il bene comune». E fare memoria aiuta la riflessione. Questi sono giorni di memoria, che la Chiesa celebra con il ricordo dei defunti, di tutti i defunti, senza distinzione. Ciascuno ricorda i propri cari, certamente; ma c’è un momento in cui essi sono pensati tutti insieme, per tutti si prega, di tutti si pensa che abbiano lasciato un ricordo. E da qualcuno, in modo speciale, si cerca di trarre un più profondo insegnamento, dinanzi alla testimonianza di una vita spesa nel servizio, nella dedizione, nell’altruismo...
Così, la memoria è maestra di vita. Cancellare la memoria – papa Francesco lo ha voluto ricordare anche recentemente nella Christus vivit – vuol dire fare spazio alle ideologie. Ai giovani ha consigliato di imparare dai nonni, per imparare dalla storia, e di crescere ancorati a quelle radici solide che sono gli esempi di vita, per costruire un futuro ricco di originalità. Perché se le idee sono frutto dell’impegno, della dedizione, della vocazione delle persone, le ideologie rischiano di essere piene di tutto, forse anche di idee buone, ma vuote proprio di persone. Questi sono giorni di memoria.
E in questi giorni ricorre anche la memoria dei militari e civili caduti nelle Missioni estere di sostegno alla pace; memoria che l’Italia ha voluto tributare, perché ha riconosciuto in essi non solo padri, figli, fratelli, amici capaci di lasciare un ricordo nei propri cari ma esempi di vita, che possono essere radici più solide per il futuro di un Paese che «ripudia la guerra», come stabilisce la Costituzione, e si sforza di formare i propri militari quali «ministri della sicurezza e della libertà dei popoli», chiamati a concorrere autenticamente «alla stabilità e alla pace» (GS 79); una formazione che li vede, come ha ricordato recentemente il Papa ai cappellani militari del mondo, «impegnati per una cittadinanza universale, per favorire la crescita di una grande famiglia umana» (31 ottobre 29019). Il delicato equilibrio della pace nel mondo è questione complessa già per gli uomini di governo, che ne hanno la competenza per studiarlo e la responsabilità del perseguirlo; esso certamente richiede passi prudenti, scelte che sempre più vadano verso la non violenza e contrastino con forza prassi inique quali il commercio illecito delle armi, come pure ogni intervento, anche dei singoli Stati, sganciato dalle decisioni dei legittimi organi di governo internazionale. Ma richiede pure la concreta applicazione di quella «responsabilità del proteggere » che, se dimenticata, rende vittime proprio i civili, le popolazioni più povere, i soggetti più deboli. Coloro che «hanno donato la propria vita per il bene comune», come i nostri militari caduti, hanno sentito questa responsabilità, vivendola con «slancio e altruismo». Ed è proprio questo che ci deve far riflettere, in un tempo in cui l’individualismo esasperato genera deresponsabilizzazione. Ci deve far riflettere, non minimizzare il gesto di chi ha perso la vita nell’adempimento del proprio dovere per proteggere la vita altrui e neppure liquidare come retorico il desiderio di farne memoria. Perché la memoria non è solo memoria di eventi. È prima di tutto memoria delle persone, delle loro vite, delle vite delle loro famiglie. Persone che hanno preso sul serio l’impegno di servire e lo hanno fatto fino alla fine. Famiglie che ancora piangono i propri cari, ma che sono consolate dal sapere che quella stessa memoria è insegnamento, testimonianza, forza per la vita dei cittadini e anche dei cristiani. Di coloro che vogliono riflettere, senza retorica o ideologie, ma con quella gratitudine che, come qualcuno diceva, è «la memoria del cuore».
Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia