La proposta. Cortei e manganelli: è ora di scrivere i numeri identificativi sui caschi
Poliziotti schierati a Torino dopo l'assalto alla volante del 28 febbraio
Torna in queste ore il rischio tensioni per i nuovi cortei pro-Palestina previst a Pisa e a Firenze. Venerdì a Bologna bruciate foto coi volti di Meloni, Salvini e Netanyahu. Intanto i poliziotti che erano in servizio in divisa e casco nella città della Torre pendente si sono autoidentificati, per farsi individuare: la Questura ha trasmesso gli atti all'autorità giudiziaria che indaga sugli incidenti di piazza.
Il “diritto a non subire processi sommari” vale per ogni cittadino. E ovviamente vale per poliziotti e carabinieri che – con il loro faticoso servizio – difendono le libertà di tutti i cittadini. Ebbene: i processi sommari si evitano anche responsabilizzando (a livello individuale) l’uso legittimo della forza. Dieci anni fa, su queste colonne, commentavamo le parole di Alessandro Pansa, capo della polizia di allora che, di fronte alle immagini di un poliziotto che nel corso di una manifestazione aveva calpestato il corpo di una ragazza a terra, aveva detto: “Abbiamo avuto un cretino, da indentificare e sanzionare”. E – conoscendo le obiettive difficoltà di raggiungere la sicura identificazione di singoli agenti, legittimamente coperti dai caschi d’ordinanza nel corso di un servizio di ordine pubblico – riprendevamo un’antica proposta: munire ogni casco con un ben leggibile numero identificativo dell’agente che lo indossa. Questa idea, in passato, è stata talvolta formulata in termini polemici e punitivi verso gli agenti; e come tale è stata avvertita e respinta da molti sindacati di polizia, che segnalano la possibilità di azioni ritorsive verso i poliziotti. Ma a queste obiezioni rispondevamo con una proposta di elementare buon senso: ogni agente porti, sul casco, un numero identificativo; la corrispondenza tra questo numero e la persona a cui è attribuito sia segreta e conosciuta esclusivamente dai dirigenti della polizia stessa che, eventualmente, dovranno comunicarlo al magistrato soltanto a seguito di ordine scritto e motivato.
Proprio chi conosce da sempre la professionalità con cui normalmente le forze dell’ordine fronteggiano situazioni difficilissime (spesso resistendo con nervi saldi a provocazioni gravi fatte non solo di insulti urlati per ore ma anche di violenze e lanci di oggetti) si sente maggiormente offeso nel vedere scene di violenza sproporzionata e gratuita come quelle che abbiamo visto nei giorni scorsi. I primi a saperlo molto bene sono poliziotti e carabinieri. Quando, dieci anni fa, avanzammo quella proposta, ricevetti vari messaggi di consenso da alcuni poliziotti (dirigenti e semplici agenti). Uno di loro mi scriveva: «Sono d’accordo. Servirebbe a responsabilizzare gli operatori, soprattutto quelli più esuberanti; e si tratta di una soluzione già adottata in altri paesi europei». Oggi, quella soluzione è già adottata da 21 paesi membri dell’Unione. Anche in questo caso: facciamo tesoro della comune esperienza europea.