Opinioni

Svolta elettorale e doveri dell’Europa. Dare forza alla Tunisia

Giorgio Ferrari giovedì 30 ottobre 2014
Chi avrebbe mai immaginato che un partito di maggioranza relativa di intonazione islamista perdesse il primato a favore di una formazione laico-moderata e accettasse il risultato elettorale senza che scorresse il sangue per le strade, senza il preannuncio di un golpe, senza una catena di attentati alla vigilia del voto? Che cioè s’instaurasse proprio lì, nel Maghreb, la regola dell’alternanza democratica che nel mondo occidentale è la base condivisa della democrazia rappresentativa? Pochi, pochissimi ci avrebbero scommesso. La dura lezione della storia ci aveva tristemente ammonito: nel giro di un paio d’anni le proteste e i sommovimenti rivoluzionari che avevano scosso la Libia, l’Egitto, lo Yemen, il Bahrein, l’Algeria, l’Iraq, l’Iran, la Giordania, Gibuti, la Siria e che avevano in qualche modo illuso il mondo libero che fosse in atto un’irreversibile quanto gloriosa "primavera araba" si erano ripiegati su se stessi dando vita il più delle volte a guerre civili senza fine, a caotiche restaurazioni, a repressioni durissime, a inconcludenti cosmesi istituzionali. Il marhaban, la rivoluzione era fallita dovunque e al suo posto trionfavano i tagliatori di teste dello Stato islamico, i kamikaze di Baghdad, gli scontri tribali di Tripoli e Bengasi, il fallimento e la messa al bando dei Fratelli musulmani in Egitto, il pugno di ferro dell’Arabia Saudita e degli Emirati nei confronti del dissenso e il sanguinoso slabbrarsi delle frontiere disegnate un secolo fa dall’accordo Sykes-Picot, con una drammatica quanto imponente massa di profughi.Ma a conferma del fatto che la vita ha più fantasia dei suoi scribi, la Tunisia, piccola e caparbia nazione affacciata sul Mediterraneo e quasi schiacciata dai suoi vasti vicini, la Libia e l’Algeria, proprio quella Tunisia, dove nel 2010 tutto ebbe inizio, ci ha di nuovo sorpreso. Rached Ghannouchi, capo del partito di ispirazione religiosa Ennahda, si è complimentato con Béji Caïd Essebsi, leader di Nidaa Tounes, uscito vincitore dalla consultazione elettorale di domenica scorsa. Com’è potuto accadere? Certamente la Tunisia è un Paese speciale. La lunga influenza francese e l’indubbia lungimiranza dell’allora presidente Bourghiba (fondatore autoritario della Tunisia moderna, ma al tempo stesso di inaspettata apertura quanto a temi come l’emancipazione femminile e i diritti dell’uomo che nel mondo arabo sono sempre stati un tabù nella loro versione piena, secondo la Carta Onu del 1948) avevano posto le radici di una società che nel gennaio scorso è stata in grado di darsi una Costituzione di intonazione liberaldemocratica dove svetta – impensabile o quasi, ripetiamolo, nella più parte del mondo arabo per non dire dell’islam – l’uguaglianza fra uomo e donna e dove la sharia, l’osservanza coranica, è tutelata  («lo Stato è custode della religione, garante della libertà di coscienza e di fede e del libero esercizio del culto») ma non è la base e il fondamento del diritto.Sgombriamo subito il campo da inutili equivoci: Béji Caïd Essebsi non è un nuovo messia, bensì un navigato esponente politico dei passati regimi. Gli islamisti lo definiscono "laico", ma non è in una nebulosa laicità che risiede la sua principale risorsa così come gli ottantotto anni che ha sulle spalle non fanno di lui il leader del futuro. Tuttavia ha il merito di aver trovato una lunghezza d’onda civile con gli islamisti di Ennahda, con i quali verosimilmente finirà per governare. Non fosse perché un nemico comune l’hanno entrambi: i jihadisti che hanno scelto di entrare nelle file del Califfato. Pur essendo soltanto alcune migliaia, per una nazione a suo modo fragile come la Tunisia rappresentano un pericolo non indifferente. Tenere lontano dalla politica l’integralismo e la sirena della sharia sarà probabilmente il compito più arduo per la Tunisia democratica. Ma lo spettacolo offertoci da questa prova elettorale torna a riproporci un miraggio che credevamo svanito per sempre: quello di una via araba alla democrazia moderna. Per questo Tunisi avrà molti nemici, visibili e soprattutto occulti. E per questo la Tunisia – che è alle prese con serie difficoltà economiche – va sostenuta. L’Europa e l’Italia, sinora troppo distratte e assurdamente noncuranti, farebbero bene a stare in prima linea in questo concreto impegno di amicizia. La lezione del resto è chiarissima: non è con i bombardamenti e con i droni che si costruiscono le grandi trasformazioni. La grande prova di maturità civile offerta dalla Tunisia lo conferma.