Scintille di bellezza. Dante “antisemita” e Barbie girls, la confusione regna sovrana
Il film “Barbie” della regista Greta Gerwig ha incassato al 17 ottobre nel mondo circa un 1,5 miliardi di dollari
«Prof, ma Dante allora era antisemita!». L’esclamazione scandalizzata di Filippo, un ragazzo di quarta superiore, interruppe una lezione sul canto XXI del Purgatorio, quello in cui Dante e Virgilio incontrano il poeta latino Stazio. Stazio si presenta così: Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto / del sommo rege, vendicò le fóra / ond’uscì ’l sangue per Giuda venduto, / col nome che più dura e più onora / era io di là“, rispuose quello spirto, / “famoso assai, ma non con fede ancora”.
Parlando del suo tempo, Stazio fa riferimento agli eventi del 70 d.C., anno in cui Tito, allora figlio dell’imperatore Vespasiano e futuro imperatore, distrusse il tempio di Gerusalemme, reprimendo duramente una rivolta giudaica. Le parole che Dante mette in bocca a Stazio sono durissime contro il popolo ebraico: la spietata distruzione del più importante luogo di culto degli Ebrei viene definita una sacrosanta vendetta per la crocifissione di Cristo, il cui sangue era stato venduto da Giuda; una vendetta aiutata dal sommo rege, cioè da Dio stesso. Dante antisemita, dunque? Spiegai a Filippo che porre la domanda in questi termini non era corretto. Dante infatti era figlio della sua epoca, e nel Medioevo in Europa erano diffusissimi i pregiudizi contro gli Ebrei, accusati persino di deicidio. Le parole del Sommo Poeta, dunque, assolutamente esecrabili per la nostra sensibilità, non vanno giustificate, ma vanno contestualizzate.
Ho ripensato alla discussione con Filippo la scorsa estate, quando, in un multisala, sono rimasto di stucco vedendo un delirio di ragazze, di bambine e di donne vestite di rosa, in coda per vedere il film Barbie. Ho ceduto alla curiosità sono andato a vederlo anche io. Il giorno dopo mi sono imbattuto in un commento su Facebook di Debora, una mia ex studentessa, che commentava indignata il film: « Barbie è un film orrendo, che celebra un giocattolo pessimo. Barbie ha proposto come modello di vita a intere generazioni canoni di bellezza irrealistici, ha spinto le ragazze a sentirsi inadeguate. Barbie vive di lusso, di consumismo, di esteriorità e di superficialità». Sui canoni di bellezza ho subito concordato: assolutizzarli è sciocco, nella storia mutano continuamente; basta guardare la Nascita di Venere di Botticelli, emblema della bellezza rinascimentale, per vedere che la figura della dea ha ben poco a che fare con quella di Barbie. Il giudizio, tuttavia, mi è parso piuttosto ingeneroso. Mi ha colpito uno dei commenti al post, che ho trovato ragionevole. Lo aveva scritto Paola, a suo tempo compagna di classe e amica di Debora. Paola aveva su Barbie una visione diversa: scriveva che, grazie a quella bambola, molte donne avevano imparato a sognare. Sosteneva che alcuni decenni fa la società era ancora più maschilista di oggi, e in quella società Barbie poteva divenire ciò che desiderava: medico, avvocato, magari presidente; poteva cioè ambire a ruoli sociali difficili da raggiungere per le donne. Affermava che Barbie era emancipata. Citava Barbie ebony, la prima Barbie afroamericana, prodotta nel 1980. Ricordava che oggi esistono le Barbie curvy o quelle in sedia a rotelle. Riconosceva uno sforzo da parte di Mattel nella lotta per i diritti delle donne.
Il dibattito tra Debora e Paola mi ha ricordato quello con Filippo sulle parole di Dante. Cancellare la storia, isolare simboli, decontestualizzare personaggi e fenomeni è folle. È quello che la cosiddetta “cancel culture” tende a fare: eliminare tutto ciò che, coi parametri di oggi, viene percepito come offensivo. La scuola deve agire in maniera opposta: deve costruire capacità critica, sensibilità alla complessità. Il cammino è impegnativo: occorre imparare a contestualizzare ogni fenomeno nella sua epoca. Non si può giudicare un fenomeno sociale del passato partendo solo dai valori, dalla sensibilità o magari dall’indignazione di oggi. Abbattere statue, censurare classici, svilire simboli sono atteggiamenti integralisti che rischiano di lasciarsi alle spalle solo il deserto. Così Dante Alighieri è ridotto a un antisemita, Cicerone a uno schiavista, Omero a un sostenitore della cultura dello stupro.
La storia è imperfetta, sgranata, come le nostre vite. I grandi del passato, le opere del passato e pure i giocattoli del passato sono stati inevitabilmente condizionati dai limiti e dalla disumanità della loro epoca. Ma condizionati lo siamo anche noi: la visione del ruolo sociale della donna, dell’educazione, del rapporto coi figli, oppure dei diritti delle minoranze che avevano i miei nonni, nati negli anni Venti del Novecento, è senza dubbio superata oggi. Eppure i miei nonni hanno fatto molto bene nella loro vita: sono stati generosi, accoglienti, solidali, dentro i limiti della loro epoca.
Probabilmente, dunque, siamo anche noi condizionati dai pregiudizi e dalla disumanità della nostra epoca, solo che non lo vediamo e ci sentiamo superiori, pronti a ergerci a censori degli aspetti retrogradi del passato e a sputare sentenze sul presente. Distruggere è fin troppo facile. Ma esiste un’altra strada, per fortuna: comprendere e salvare il buono che c’è, tenendolo come nostra eredità. Dante, Cicerone e Omero sono maestri di vita per tutti, anche oggi; sono giganti in grado di indicarci il futuro. I classici sono immortali perché parlano anche oggi a ogni uomo, pur con tutti i condizionamenti, oltre tutti i condizionamenti del loro tempo.
Purtroppo, questi temi sono di estrema attualità. Non è forse una forma di cosiddetta “cancel culture” bruciare la bandiera dello stato di Israele, cancellando e distruggendo metaforicamente la storia lunga e complessa di un popolo per contestare i tragici errori del governo Netanyahu? Ma la cosiddetta “cancel culture” non è che una delle molteplici manifestazioni di una semplificazione spesso imperante, becera, pericolosa. Una semplificazione che può portare alla rimozione della storia, o alla sua strumentalizzazione. I disegni della stella di David equiparata alla svastica nazista, comparsi negli scorsi giorni in alcune zone di Roma, tra cui il Quartiere Ebraico, sono agghiaccianti. Com’è possibile, indignati per un enorme dolore, calpestare la memoria di un altro immenso dolore?
Equiparare un simbolo della civiltà ebraica, dimenticandone totalmente l’articolata storia, al simbolo del nazismo, come se gli ebrei in generale fossero colpevoli di ciò che sta avvenendo a Gaza, è un cortocircuito estremamente preoccupante e sciocco, tanto quanto affermare che Dante era antisemita tout court. La scuola ha davvero un grande lavoro da fare: deve educare a riflettere a lungo prima di parlare, aiutare a cogliere tutte le sfumature possibili di una realtà complessa, che non è mai bianca o nera. Deve aiutare ragazze e ragazzi a sospendere il giudizio, non per rinunciare a prendere posizione, ma per accettare che la comprensione di realtà difficili richiede tempo, studio, fatica. Non è facile quando si è sommersi da immagini e informazioni, da opinioni gridate, da verità che si autoaffermano come assolute. Ma è una sfida che dobbiamo raccogliere ogni giorno.
Marco Erba è Insegnante e scrittore