Politica e pace. La mozione sul cessate il fuoco a Gaza: condivisione che dà forza
È importante che abbia coinvolto tutte le forze politiche l’accordo sulla mozione della Camera a sostegno di «ogni iniziativa volta alla liberazione degli ostaggi israeliani e a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza». La politica estera, infatti, è molto diversa da questioni interne che sopportano anche forti contrapposizioni e non può essere ad libitum di maggioranze di governo per loro natura mutevoli. L’attività internazionale di un Paese si radica anzitutto nella sua geografia, scaturisce da “forze profonde” di lungo periodo e deve basarsi su orientamenti costanti.
È bene perciò che le decisioni in questo campo vengano prese insieme da forze politiche diverse o antagoniste, in modo che non vengano cambiate con il mutare dei governi e abbiano più peso sui tavoli politico-diplomatici internazionali. Si tratta di una regola antica ma oggi poco seguita: lo scenario internazionale è in continuo cambiamento e l’ascesa di leader più giovani o meno esperti rischia di far dimenticare le lezioni della storia.
La larga approvazione della mozione sugli ostaggi israeliani e per il cessate il fuoco a Gaza si collega a una linea di politica estera italiana avviata ottanta anni fa, con la svolta di Salerno del 1944. Anche se ricordata soprattutto per motivi di politica interna – il ritorno di Togliatti dalla Russia, l’apertura alla monarchia dei partiti antifascisti – tale svolta è stata soprattutto il primo atto di politica estera di un Paese che aveva perso la sua sovranità per colpa di una guerra sbagliata e a seguito di una dura sconfitta, di un pesante armistizio e dell’occupazione militare alleata. I sei partiti del Cln si assunsero allora – tutti insieme, benché profondamente diversi – responsabilità che non erano loro e garantirono davanti alla comunità internazionale che l’Italia avrebbe seguito una politica di pace. A questa scelta fondamentale si sono poi aggiunte l’adesione alla Nato, la vocazione europeista e quella politica neoatlantica che ha portato l’Italia in prima linea nel dialogo con i Paesi non occidentali, dal Medio Oriente all’Africa e alla Cina. Sono questi i pilastri della politica estera italiana che devono essere mantenuti, pur adattandola e rilanciandola secondo i mutamenti imposti dalla storia.
Ciò significa che la convergenza realizzata in Parlamento deve costituire solo un primo passo. È necessario anzitutto per la situazione in Medio Oriente, dove si preannunciano altri sviluppi preoccupanti. L’urgenza della pace deve spingere l’Italia anche a sostenere la ricerca di iniziative politico-diplomatiche per fermare la guerra provocata dall’aggressione russa in Ucraina. Cruciale appare soprattutto il pieno ritorno della politica estera italiana al convinto europeismo iscritto nel suo Dna. Da un lato, infatti, l’Europa è esposta al rischio di indebolimento generato dalla minaccia trumpiana di non rispettare gli impegni Nato, abbandonandola nelle mani di Putin.
Dall’altra, su molte situazioni di guerra, dall’Ucraina a Gaza, pesano colpevolmente il silenzio e l’inazione europei. Anche il Piano Mattei per l’Africa per essere efficace richiede una collaborazione europea. Tutto ciò impone il rilancio di una decisa politica europeistica, per rafforzare l’Europa in tutti i sensi. Anche questo non è un problema solo italiano, ma ciò rende ancora più importanti le scelte dell’Italia, per le ripercussioni che possono avere su altri Paesi.
Quale strada per una politica estera di pace sempre più condivisa? Si è parlato di accordo bipartisan, ma in realtà è stata un’intesa tra molti partiti (malgrado le leggi elettorali che dal 1994 spingono in questo senso, la politica italiana non è mai diventata veramente bipolare). Tra le diverse forze è stato raggiunto un compromesso – altra azione virtuosa in questo campo – che ha permesso di coniugare attenzione per le legittime esigenze israeliane di sicurezza e apertura verso un futuro che non può non essere di coabitazione.
È la strada di una politica vera, fondata su un confronto ampio, discussioni approfondite e sintesi che accolgono esigenze e punti di vista diversi. Non è un caso che oggi questa politica sia diventata merce rara: la scoraggia la cultura di guerra perché, come ha scritto Papa Francesco nella Fratelli tutti, la guerra è sempre un «fallimento della politica», e, viceversa, ogni successo della politica è un freno alla guerra. Si ha la sensazione che i leader e i partiti italiani debbano riacquistare la capacità e il gusto di una politica diversa da un confronto elettorale muscolare e perenne. È una strada importante anche per i riflessi positivi che può avere su altri terreni, scoraggiando ad esempio riforme istituzionali – su cui pure è necessaria la massima condivisione – imposte a colpi di maggioranza. Sono invece da evitare pericolose fughe in avanti, come assemblee costituenti che, viste le contrapposizioni attuali della politica italiana, avrebbero effetti più distruttivi che costruttivi.