Il direttore risponde. Dalla parte dell’uomo se la tecnologia non libera chi lavora, ma se ne libera
Gentile direttore,
la sua risposta alla lettera della signora Clelia Prozzillo (Avvenire del 27 dicembre 2014) – «La via è "lavorare meno, lavorare tutti. È sempre questa la sfida. E la direzione» – mi ha molto sorpreso. Non riesco, infatti, a immaginare una persona di normale senso critico, che non veda la fallacia di un tale assunto. Infatti, se l’occupazione crescesse solo con il diminuire delle ore lavorate, logicamente ne conseguirebbe che tutti lavorerebbero, quando nessuno lavorerebbe: occupazione massima, quando il lavoro è zero! La falsità dell’assunto è immediatamente evidente. Le dico di più. I rinnovi contrattuali, sia privati che pubblici, degli anni Settanta e Ottanta, avevano al centro delle loro richieste proprio la riduzione dell’orario di lavoro. Avendoli vissuti e seguiti personalmente, come responsabile di grandi fabbriche, le posso assicurare che non solo non hanno incrementato di una sola unità i posti di lavoro, ma hanno aperto la strada alla ricerca sistematica della loro riduzione. Da allora, infatti, la preoccupazione principale dei responsabili delle aziende è stata quella di ridurre gli organici, di ridurre i posti di lavoro, quasi che la sopravvivenza delle aziende dipendesse esclusivamente dalla riduzione del costo del lavoro, e non anche dalla tecnologia, dall’innovazione, dalla ricerca di nuovi prodotti e di nuovi mercati, ecc. Lei dice bene, quando ricorda che il motto "Lavorare meno, lavorare tutti", era stato fatto proprio dalla Fim-Cisl degli anni Settanta. Ma esso non era espressione della cultura cattolica della Cisl. Esso era stato portato dentro il sindacato bianco dai gruppettari comunisti, che erano stati espulsi dal Pci e dalla Cgil. Quel motto, infatti, è espressione della cultura marxista e comunista ed è del tutto estraneo alla cultura cattolica. La quale, invece, insegna che è il lavoro che crea lavoro: il lavoro lo creano più impegno, più partecipazione, più collaborazione, ecc. esattamente il contrario di quanto la cultura e la politica di sinistra hanno predicato e praticato da sempre nelle fabbriche. L’Italia è cresciuta quando, dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni Sessanta, si è lavorato a pancia a terra dentro e fuori delle fabbriche, nelle case private e negli uffici pubblici. Poi, appena abbiamo assaggiato un po’ di benessere, ci siamo come inebriati e abbiamo smesso – letteralmente – di lavorare.
Giovanni Serra, Sassari