Opinioni

Settimana sociale. Dal parteggiare al partecipare: prendersi cura delle democrazia

Mimmo Muolo martedì 9 luglio 2024

Il teologo Karl Barth esortava i cristiani a tenere la Bibbia in una mano e il giornale nell’altra. Papa Francesco, al termine della Settimana sociale dei cattolici in Italia a Trieste, lo ha in un certo senso parafrasato, sottolineando: «Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, “bussola” affidabile per il cammino della democrazia». Una sintesi efficace dei giorni triestini, che hanno visto anche la partecipazione del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, massimo custode della Carta costituzionale, e di 1.200 delegati provenienti da tutta Italia.

Vangelo e Costituzione, dunque. Un binomio che ha costituito la mappa dei lavori incentrati sul tema della democrazia, e non certamente con il recondito fine di confessionalizzare le istituzioni laiche o politicizzare il dibattito, quanto piuttosto di mettere in luce che i valori di base dell’impegno politico dei cattolici sono gli stessi. Come medesimo è soprattutto lo scopo: il servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo.

Questa è la vera democrazia, di cui il Papa ha fornito con i suoi discorsi di domenica una sorta di alfabeto. “P” come partecipazione, cioè il contrario dell’indifferenza, vero cancro della democrazia. Una partecipazione da non esercitare solo al momento del voto, ha notato, ma che diventa senso critico rispetto ai populismi, all’ideologia, al consumismo, all’assistenzialismo e a tutto ciò che di vesti democratiche si ammanta, per tradirne il senso profondo e di fatto manipolarla. “V” come valori: persona, fraternità ed ecologia integrale soprattutto.

“I” come impegno – specialmente da parte degli amministratori - per favorire la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti. “S” come speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro. “F” come fede, ma una fede “scandalo”, una fede di carne, che entra nella storia, denuncia il male e le ingiustizie e disturba le trame di chi, all’ombra del potere, gioca sulla pelle dei deboli. E infine “C” come carità, di cui la politica è la forma più alta, dato che una autentica democrazia non lascia indietro nessuno, a cominciare dagli “scartati”: i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Non è uno sguardo irenico o ingenuo quello del Papa.

Anzi, alle indicazioni programmatiche egli ha anteposto una severa e approfondita diagnosi dello stato di salute della democrazia. Il cui cuore «infartuato», ha fatto notare, richiede urgenti cure.

E qui viene in primo piano quella costruzione dal basso, al centro dei lavori della Settimana, che anche Francesco ha incoraggiato, invitando a «moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani» e a «prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune». In quali forme questo impegno debba incanalarsi è da vedere. Una cosa è però chiara fin d’ora. Ottanta anni fa i cattolici seppero dare un contributo fondamentale alla stesura della Costituzione. Oggi sono chiamati a inoculare nel corpo malato della vita democratica il vaccino del dialogo e del fare insieme, vero antidoto al veleno dell’individualismo. Proprio su questo terreno – che è poi il terreno del “noi”, cioè della comunità che non è semplice somma di tanti “io” – si gioca, come notava il cardinale Matteo Zuppi in apertura della Settimana sociale, il futuro della democrazia.

Servono scelte coraggiose, è stato ricordato nel corso dei lavori. A cominciare dalla promozione della vita e della famiglia per combattere l’inverno demografico, fino a giungere all’accoglienza e all’integrazione di chi arriva, passando per la salvaguardia del creato, la valorizzazione dei giovani e il protagonismo dei corpi intermedi, in una logica di solidarietà e sussidiarietà. Forse non è un caso che l’ultimo atto dell’appuntamento triestino si sia svolto in una piazza intitolata all’Unità d’Italia.

Aggiungendo così, di fatto, un’altra parola al vocabolario democratico. L’unità, appunto, che non è uniformità, ma concerto delle differenze. Per questo riscoprire la mediazione e la sintesi, che compongono anziché dividere, è compito di quanti hanno a cuore la democrazia a partire dalla società civile. Prima che «una democrazia senza valori», come diceva Giovanni Paolo II, o «a bassa intensità», come ricorda Francesco, si risolva in un assolutismo da parte di una qualsiasi maggioranza democraticamente eletta.