Da quanto dura la «guerra del terrore» e il cinico mercato che la alimenta
Miriam Valentini
Posso dire che la battuta del capo del governo francese mi sembra ovvia? Terribilmente ovvia? Questa guerra che chiamiamo terroristica dura già da una generazione, se ancora contiamo le generazioni con il vecchio e sempre utile metro dei 25-30 anni. Con un aspro prologo nel 1986 (in terra francese) e senza tregua dal 1991 (in Algeria e con la prima Guerra del Golfo) sino a oggi, è assai lunga la scia di dolore, terrore e sangue che a intermittenza feroce ci interroga e incrina la falsa idea per cui "se io sono in pace, il mondo è in pace". Forse però certi politici (almeno in pubblico) pensano gli eventi che dovrebbero governare solo dal momento presente in avanti. Questo, per me, è il contenuto choc della battuta di Valls che parla al futuro e sembra dimenticare e archiviare tanta ingiustizia, tanta sofferenza e un’infinità di vittime. E quando si dimentica e si archivia il male, il male si ripete e si ripete ancora. Ecco perché penso che su domande consapevoli e scomode come quelle che lei ripropone, gentile e cara signora Valentini, bisognerebbe finalmente concentrarsi con intensità e continuità. Sono le domande che sulle nostre pagine condividiamo da anni con chi ci legge, interrogando senza tregua "decisori" e "legislatori". Soprattutto, però, sono le domande che papa Francesco rivolge incessantemente, come già i suoi grandi predecessori, non soltanto al popolo cristiano, ma a tutti gli uomini di buona volontà che costituiscono l’opinione pubblica mondiale e, in modo particolare, a coloro che hanno potere politico, economico e tecnoscientifico. Il Papa chiede di aprire davvero gli occhi sull’immenso e vergognoso «mercato delle armi», un mercato redditizio in termini di denaro e di dominio, che accende e perpetua la «guerra mondiale combattuta a pezzi» e aiuta a capire come mai si sviluppano sotto i nostri occhi operazioni politiche e militari che altrimenti risulterebbero del tutto inspiegabili e persino inconcepibili per il cinismo che le caratterizza e la disumanità che propiziano, manifestano e realizzano. E di queste «operazioni», mi pare necessario sottolinearlo ancora una volta con grande amarezza, sono responsabili sia autocrati od oligarchi senza scrupoli sia governi di grandi democrazie. Emblematico e scandaloso, in questo senso, il "caso Siria" o "caso Siraq", come scriviamo spesso, mettendo insieme le tragiche realtà di quei due Stati del Vicino Oriente (la Siria e l’Iraq) e dei loro popoli travolti da guerre che la storia non classificherà di certo come frutto di autocombustione. Scandaloso anche per la vasta indifferenza che circonda quel dramma ed è frutto di cieco egoismo tanto quanto di informazioni mancanti o addomesticate. Per questo le essenziali domande sulla pace e sulla guerra che lei, gentile amica, torna a formulare con passione, ancora oggi trovano poco ascolto e ottengono risposte quasi solo evasive. Eppure basterebbe affidarsi alla buona vecchia saggezza popolare frutto dell’esperienza e del senso del bene: quando il fuoco corre e distrugge, bisogna lavorare per circoscrivere e spegnere le fiamme e bisogna fare di tutto per non alimentarle. Elementare. Come il diritto di ogni uomo e ogni donna a non dover migrare per forza e a vivere in pace, sicurezza e libertà nella propria patria, parte della «casa comune» che chiamiamo Terra.