Cuore d'aquila e ali di passero. Essere cristiani è scegliere i poveri
Questo è il terribile e contraddittorio mistero dell’uomo: avere un cuore di aquila e ali di passero». E noi con questo mistero, così ben descritto da Ignacio Larranaga, dobbiamo fare i conti ogni giorno. Il cuore di aquila ci fa superare i confini dello spazio e del tempo, ci fa osare l’impensabile, ci proietta nel futuro. Le ali di passero, al contrario, ci fanno pavidi, timorosi dell’ignoto, ci invitano a rimanere nel nido. L’arte del cristiano sta nel mettere insieme l’aquila e il passero. Fantasia, quindi, sogni a occhi aperti, vette alte da raggiungere, desiderio d’ infinito, sete di aria fresca, solitudine ad alta quota, vertigini, ma anche prudenza, umiltà, coscienza dei propri limiti. Francesco in modo meraviglioso, continua a indicarci la via da percorrere. Ottimo esegeta dell’uomo, dell’animo, della fede, del patrimonio affidatogli, il Papa non si stanca di tirare fuori tesori antichi e sempre nuovi. E continua a orientare la nostra attenzione sui poveri.
A noi, cristiani del terzo millennio, come a ogni altro uomo e ogni altra donna in questa società malata di individualismo e perfettismo, la cosa, spesso, pesa. I poveri disturbano i nostri sogni, i nostri progetti, sono ingombranti, non poche volte sgradevoli, mettono in crisi le nostre certezze, fanno persino paura. Diciamolo: pregare, andare a Messa la domenica, investire su un certo stile di vita, fare ogni tanto l’elemosina, tutto sommato, non ci disturba troppo. Ma perché rovinarsi la vita con una fraternità vissuta per davvero con i poveri, gli immigrati, i nomadi, gli "scartati" della società? Perché avvertire il muto rimprovero di questi fratelli lasciati indietro quando sprechiamo il superfluo a loro tanto necessario? Perché non ascoltare chi prova a rassicurarci, e osa spiegarci che l’«ordine» giusto sarebbe quello chiudere la porta in faccia, girare la testa, cacciare, escludere, rimuovere… Perché impegnarsi perché la legge sia legge per tutti, salda e buona, ma sia per l’uomo e non per sé stessa? Semplicemente perché così ha voluto Gesù.
Certo, possiamo – e dobbiamo – chiederci il motivo per cui il "Dio con noi" ha fatto questa scelta. La risposta la troviamo sin dalla prima pagina del Vangelo. Lui, il Verbo, senza il quale «niente è stato fatto di tutto ciò che esiste», ha voluto farsi uomo come noi. Umiltà? Piccolezza? Follia di un Dio? Condivisione. Comunione. Accoglienza piena della nostra condizione. Chi ama sente il bisogno di fondersi con la persona amata. Come ogni amante, anche Dio desidera essere riamato. Qui, e da qui, si snocciola la nostra vita morale e anche il nostro impegno civile.
Ma come amare adeguatamente Colui che ci ha dato tutto? Accettando senza resistere, senza orgoglio e senza timore, che anche se piccola, limitata, insufficiente, la risposta di ognuno di noi è da Lui accolta e apprezzata. Come quando un neonato fa un sorriso al suo papà. Dio è innamorato dell’uomo. Di tutti gli uomini. Anche, e soprattutto, di quelli che noi volentieri metteremmo da parte. Se li ama Lui, dovere della Chiesa e nostro è sforzarci di accoglierli, aiutarli, amarli. Promuoverli. Se li ha serviti Lui, la sua sposa non può che imitarlo. Sempre. Anche quando non viene compresa, anche quando il servizio che rende loro è ritenuto da tanti, inopportuno e addirittura dannoso e persino scandaloso. Servire, senza complessi, senza timidezze, senza orgogli di nessun tipo. Servire con libertà, per amore, nella verità. Non abbiamo niente di cui vantarci, perché tutto abbiamo ricevuto in dono. Siamo 'costretti' ad agire così. Pur volendo, non potremmo fare diversamente.
Un po’ come respirare. Anche se attraversi una palude maleodorante tu non puoi non farlo. Siamo stai sedotti. «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me». E poi dobbiamo imparare a riposare. «Venite in disparte con me e riposatevi un po’», è l’invito che il Maestro rivolge ai suoi. Certo, perché il cristiano deve convincersi che non è onnipotente e non è infallibile. E che la Chiesa non è 'sua'. Immerso nella Verità, di questa Verità egli è servo non è padrone. Deve convincersi che «se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori». Che la Provvidenza, in modo misterioso ma vero, fa germogliare il deserto.
Deve avere addirittura il coraggio di camminare sulle acque, non perché il mare ha rinunciato a ingoiare chi si azzarda a farlo, ma perché il Signore, sul quale i cristiani - se cristiani sono per davvero - si stanno giocando la vita, glielo ha comandato. La fede non è solo l’elenco delle verità in cui crediamo. La fede è credere che Colui del quale ci siamo innamorati è più grande delle nostre povere, piccoli ali. La fede è mantenere viva la speranza anche quando sembra che sia del tutto inutile. La fede è proclamare davanti a una bara: «Io credo, risorgerò ».
La fede è singhiozzare a dirotto sul corpo martoriato dell’Amore crocifisso, ben sapendo che tra poche ore, vittorioso, lascerà il sepolcro. La fede è agire bene e per il bene, qui e ora. E se Gesù ritiene fatta a lui ogni carezza fatta ai suoi figli più poveri, vuol dire che la sua Chiesa, ognuno di noi che ne è parte, dai poveri mai potrà distogliere sguardo e soccorso.