Colpisce, negli scarni fatti riportati alle cronache, quanto sia esplicito e diretto il modello, anzi il doppio modello: quello di come opera la criminalità organizzata nel campo del gioco e, l’altro, di come avviene il quotidiano fallimento dello Stato nel regolare i flussi, in entrata e in uscita, dell’affare azzardo. In poche parole, mafia, camorra e ’ndrangheta sono divenute una "multiservice" che impone istallazione, manutenzione e manomissione di slot machine, scommesse e giochi on line. Lo Stato, dal canto suo, non riesce a garantire un livello minimo di autentica legalità al settore. E non ammettendo questo fallimento, deve alzare la posta, esattamente come l’ultimo dei giocatori patologici: indurre sempre più italiani a partecipare al mercato dell’àlea.
Con le inchieste tra Frosinone e Caserta, passando per la Lombardia e la Romagna, è però colata a picco la nave portacontainer delle frasi fatte. Si sta cioè inabissando tutta una retorica, coniata dagli stessi Monopoli, volta a magnificare l’azzardo legalizzato. Sul Gran Pavese di quel bastimento si poteva leggere: «Con i giochi garantiti dallo Stato, la criminalità organizzata è stata estromessa dall’affare. La sala scommesse, i bingo, le poker room, e le slot machine pubbliche mandano in rovina le bische nei sottoscala e nei circuiti clandestini». E ancora: disseminando l’Italia di 14mila sale da gioco a soldi, di bingo e di allibratori di scommesse, portando nelle mura domestiche i terminali dei casinò virtuali, si toglie l’erba sotto i piedi alla criminalità. Perché entrare nelle bische clandestine, quando si può puntare su quelle alla luce del sole, legali e sicure? Insomma, mafiosi "all’asciutto", perché sono i legittimi concessionari a dominare il campo. È accaduto esattamente il contrario.
L’inchiesta che oggi
Avvenire racconta, smonta il costrutto e liquida questa cornice argomentativa. Mostrando che essa è priva di contenuto. Una bella cornice, attaccata alla parete, ma senza alcun dipinto. Perché è accaduto esattamente quel che si era documentato nell’ultimo dopoguerra negli Stati Uniti (commissione Kefauver, 1951). E, con particolare attenzione, qui da noi, dodici anni fa, dalle Fondazioni antiusura, quando pubblicarono il primo rapporto, e si era appena all’inizio della rivoluzione dell’azzardo di Stato. La staffetta tra legale e illegale nell’affare è ormai ricorrente. Toccherà agli inquirenti scavare, oltre l’involucro delle sale autorizzate e affidate poi alla criminalità organizzata. Ma è ormai certo che esiste un’àlea "in nero" sotto le insegne del gioco legalizzato. Anzi, al riparo di quella "certificazione". Il che aggiunge la beffa al danno. Testimoniando il fallimento di un modello, a suo tempo imposto con il corredo di motivazioni indimostrabili e di una retorica tanto sciocca quanto efficace. E così la criminalità è passata da una posizione concorrenziale (nei confronti dello Stato) dall’esterno, cioè con l’offerta clandestina del gioco d’azzardo, a una incorporazione nella sua struttura organizzativa delle modalità legali, sicure e autorizzate. Del resto, perché rischiare con un casinò occulto, quando ci si può accaparrare e manomettere una bisca con tanto di numero di autorizzazione esposto all’ingresso?
Eppure, da quasi trent’anni, le inchieste giudiziarie in varie parti d’Italia avevano mostrato che l’ordine pubblico non si riusciva a mantenerlo nemmeno nei vecchi, cari quattro casinò, ai confini del territorio nazionale. Riciclaggio, usura, indotto delinquenziale nelle strade, ricettazione, investimento nel territorio circostante: tutto scritto nei dossier giudiziari: da Sanremo a Venezia, da Saint Vincent a Campione d’Italia. Che cosa hanno fatto, da allora, governo e Parlamento? Invece di predisporre controlli e investigatori specializzati sul gioco d’azzardo esistente, hanno accettato che si lanciasse un bombardamento a tappeto sull’intero territorio italiano. Distretti dell’azzardo laddove vi erano i distretti industriali. Il bello è che all’inflazione dell’àlea corrisponde una regressione delle entrate per il Fisco, per l’effetto combinato del "nero" delinquenziale e della continua riduzione della tassazione sui giochi.