Non c’è nulla di più straziante che scrivere per un ragazzo morto nel tuo quartiere o nella tua città. È come se tu scrivessi di un parente. C’è sempre qualcosa che ti collega a lui, a sua madre, a suo padre. Ora, un ragazzo della mia piccola-aristocratica-colta città (Padova) è morto a Milano, era uno studente, come quelli tra i quali ho passato la vita, era in gita scolastica, uno di quei viaggi con pernottamento che sono un problemaccio difficile da gestire, è caduto dal quinto piano in albergo. Nessuno sa niente, nessuno ha visto niente, possibile? La madre si chiama Comin, e sento il suo cognome come una variante del mio. Impossibile non soffrire con lei. Non parlare con lei. E non parlare ai compagni del figlio. Finora risultano poche cose e confuse. Il ragazzo è caduto ma non s’è buttato. Era in una stanza con altri due, in quel momento stava sul terrazzino, qualcuno l’aveva chiuso fuori, il sospetto è che gli amici gli avessero fatto bere un potente lassativo e stessero aspettando gli effetti. C’è qualcosa di stupido e di sadico in scherzi del genere, perciò la preside rifiuta con sdegno quest’ipotesi. Il rifiuto le fa onore. Ha un’idea 'alta' dei suoi studenti. Tuttavia siamo in gita, e gli studenti in gita sono diversi da come sono a scuola. Le scuole programmano le gite come integrazione dell’insegnamento. Ma i ragazzi ci vanno con la voglia di fare tutto ciò che in classe non possono fare. Le gite sono faticosissime da governare. Perché nelle gite la gerarchia della classe si capovolge. Nelle lezioni gli studenti leader della classe sono i migliori, nel tempo extra-scolastico sono i peggiori. In una classe tutti gli studenti, o quasi tutti, sono amici, e magari stretti amici. Ma anche nelle amicizie resta in agguato un velenoso pro-memoria di Dostoievski: «L’uomo desidera vedere il suo migliore amico umiliato davanti a sé». Quando è venuta fuori la notizia del lassativo, le parole di Dostoievski mi son risalite alla memoria. Per ora pare che la verità stia in questo gioco maligno e ottuso (umiliare un amico), che i compagni di stanza lo sappiano (ovviamente), ma che siano disposti a tutto pur di non parlare. La preside dice che non farà mai più gite. Intervistati dalle tv locali, i professori dicono che non faranno mai gli accompagnatori. Pare che a entrare in crisi sia il sistema-gite. Ma c’è un ragazzo morto, ci sono suoi compagni che sanno perché, e non vogliono parlare? Intendono tirare avanti con un segreto del genere? E che vita sarebbe? Se le cose stan così, qui è l’idea di cultura che è in crisi, di studio, d’insegnamento. Di scuola.