Opinioni

L'imprevisto della Pentecoste. La creatività dello Spirito nella società dei replicanti

Pierangelo Sequeri domenica 12 giugno 2011
Lo Spirito arriva imprevisto, certo, lo sanno tutti. Ma non tutti gli imprevisti sono l’arrivo dello Spirito Santo. Non vogliamo riconoscere, una buona volta, che questa ce la siamo giocata proprio male noi occidentali, progressisti del nuovo "a prescindere"? Ci siamo entusiasmati all’idea di diventare società dell’azzardo, che dovevano essere piene di creativi, siamo diventati comunità a rischio, e per giunta piene di replicanti. "Essere prevedibile" è diventato quasi un insulto. Un po’ snob, se volete: ma nella società dello spettacolo è ormai un’offesa bruciante: in guerra come in amore. Però, quando devi fidarti di qualcuno, e gli metti in mano i tuoi affetti più cari, non scegli uno imprevedibile. Certezze non ne vuole condividere più nessuno. Però sicurezza per tutti. (Lo capisci che l’affidabilità del legame sociale è una categoria dello spirito? Se non tesse la sua tela lì, sono buchi neri dovunque). Insomma il guizzo degli improvvisi che riaprono i giochi della vita è bello, se durano le promesse che devono essere onorate. I due vivono felici soltanto insieme. Ecco, lo Spirito di Dio non è tanto lontano di qui. Diamogli una bella aggiustata, dunque, alla nostra creatività da paese dei balocchi; e impariamo di nuovo a farci sorprendere dalla creatività con la quale si onorano le promesse. Lo Spirito della Pentecoste, tanto per cominciare, è Spirito della promessa. Solenne, ostinata, ribadita in punto di morte: «Quando me ne sarò andato, ve lo manderò» (Gv 16, 7). Lo Spirito tiene ferma la sapienza della consolazione, in modo imprevisto. E tiene vivo il fuoco dell’amore fedele, in modo imprevisto. Illumina la strada della vita che era data per persa, in modo imprevisto. Edifica comunità impossibili con individui impossibili – come noi, che non sopportiamo nemmeno le regole del traffico – in modo imprevisto. Raduna i figli dispersi sotto il naso delle potenze mondane, che controllano lo share e non si accorgono che ormai sono sempre gli stessi a guardare il programma unico. Gli altri non ne possono francamente più e cercano luoghi di intossicazione e disincantamento. Anche quelli meglio-che-niente finiranno per darsi una svegliata. Le piazze si riempiono e le chiese si svuotano? Non insisterei sulle battute da cabaret. Se è per quello anche le università sono piene, e le zucche si svuotano. Non dovrebbero preoccuparsene un po’ di più, i sapientoni della secolarizzazione? Lo Spirito riempie la terra, intanto. Forse abbiamo piazze troppo rock e chiese (e università) troppo lente. Ma l’onda dei ragazzi che vigila – consciamente, inconsciamente – il passaggio della nube di fuoco che indica la strada, è più disinvolta a montare la tenda dovunque. In Occidente come in Oriente (i due cristianesimi la celebrano insieme, questa volta, la Pentecoste: vorrà dire qualcosa). La generazione che viene cerca affidabilità: ecco l’imprevisto. Non approfittiamone, per istupidirli del tutto con la scusa che è quello che vogliono (e vergognamoci). E non rifiliamogli la solita minestra, che faceva tanto bene alla nonna. Resistono come possono. Hanno smesso di volere: aspettano. I segni sono nell’aria, e nel flusso dei corpi che si ridestano e prendono strada. Facciamoci trovare lì. Lo Spirito non aspetterà i risultati dei nostri preconfezionati sondaggi. Lo Spirito risponde alle domande che noi non poniamo più, portando fresca invenzione di risposte troppo lungamente attese.